
I lavori di gruppo all'ultima Settimana sociale di Trieste - Cristian Gennari
Anche sapendo che non si può più essere presenza maggioritaria, siamo tutti desiderosi, noi cattolici, di uscire dall’attuale sensazione di incertezza ed irrilevanza. Qualcuno coltiva l’illusione di un ritorno al passato, mentre qualcun altro immagina una fuga in avanti fatta di un minoritario ricompattamento dei “pochi ma buoni”. Due tentazioni di per sé comprensibili, ma che, intrecciandosi e rafforzandosi a vicenda, rischiano di far perdere una grande occasione di incisiva presenza del pensiero cattolico, un’opportunità che sarebbe davvero un peccato perdere.
Per spiegare tale opportunità occorre fare un passo indietro nel cammino della Chiesa degli ultimi sessanta anni, da quando essa ha voluto essere chiesa di popolo, capace cioè di mobilitare le diverse energie collettive esistenti nel Paese. La scelta cioè di coniugare la realtà di fede, con lo spirito dello sviluppo sociale, cominciando con la Montée Humaine di Padre Lebret a fine anni ‘50; proseguendo con la Populorum Progressio di Paolo VI del ’65; e ancora con la Promozione Umana del Primo Convegno ecclesiale del ’76. Si può dire che, in fondo, la cultura del mondo cattolico ha condiviso, lungo alcuni decenni, la crescita e la voglia di crescere della società, quasi in silenzioso rispecchiamento tra crescita umana e sviluppo del Paese. Se ci pensiamo, Montée Humaine, Populorum Progressio e Promozione Umana esprimono, in lingue diverse, lo stesso concetto e la stessa speranza, e cioè che lo sviluppo della persona, di ciascuna persona e attraverso questo, lo sviluppo dei popoli, è prezioso agli occhi di Dio, di più: è il progetto stesso di Dio.
Ma quella combinata tensione a crescere si è nel tempo affievolita e si è dovuto prendere atto che, sia nella realtà ecclesiale che in quella sociale, si è venuta di fatto formando una ambigua “zona grigia”, alimentata dalle propensioni al vivere di presente; tendente all’individualismo, al soggettivismo; una zona grigia segnata dalla tendenza al tralasciare, al disimpegno (non vado a votare e non vado a Messa); una zona grigia che ha causato, una generalizzata, perdita di senso, una forte difficoltà nelle relazioni, una gran fatica a trovare un progetto di vita comune. Il lavoro dello spirito, la politica come professione/vocazione, esaltato da Massimo Cacciari, oggi ci porta a riconoscere che molti dei problemi del nostro Paese, hanno origine proprio in un deficit di vocazione, una carenza di fini. La tanta politica con poca professione/vocazione è anche lo specchio di una società sempre più incapace di guardare oltre.
Tutto ciò ha conseguenze in tutti gli ambiti, da quello demografico a quello produttivo e addirittura sul piano dei consumi: i continui aggiornamenti tecnici di alcuni prodotti, sono sempre più palesemente in-utili e il bluff della novità è sempre meno accattivante. C’è un deficit di iniziativa privata nel mondo produttivo, anche gli investimenti pubblici faticano ad essere assorbiti dal sistema, perché manca la necessaria “fame di investimento”. Questo pericoloso impigrimento della società, come della vita ecclesiale, impone la ricerca degli strumenti più efficaci, per rilanciare il protagonismo dei vari soggetti sociali. È noto che la storia italiana degli ultimi decenni ha visto un peso enorme dei soggetti intermedi (da quelli materiali a quelli locali, alle stesse istituzioni ecclesiali). C’è in questo campo una naturale ondata di crisi, ma non sta a noi fare una analisi critica, è indubbio che il mondo cattolico può e deve essere in prima fila, come grande corpo intermedio, per lavorare sulla zona grigia, sviluppando quel poco o quel tanto di “lavoro dello spirito”.
Perché le due zone grigie, quella civile e quella religiosa, sono pressoché sovrapponibili, sono due facce della stessa medaglia, solo che quella religiosa conserva l’attitudine alla vocazione, possiede ancora un codice dell’anima condiviso e non vuole rinunciare alla trascendenza, non è un caso, infatti che più della metà degli italiani si rivolge a Dio, crede in una vita dopo la morte e in qualche forma di “giudizio finale”. La grande opportunità allora che si apre in questo scenario sta proprio nel fatto che la Chiesa in uscita può portare con sé, nella zona grigia, in modo più o meno latente, i suoi attrezzi spirituali, il suo bagaglio di capacità di orientamento, la sua tensione verso un altrove, la sua spinta a dare senso ad una vita, “che non si esaurisce tutta qua”.
Il contributo visto come cattolici sarà quello di richiamare gli italiani all’uso di quegli strumenti, riattivare quei semi, anche piccoli, che la “chiesa in uscita” porta con sé e che oggi, magari senza saperlo, getta nella società. Colmando, là dove ci si trova e per quanto possibile, quel deficit di vocazione che oggi affligge la nostra società, facendo leva su quell’attitudine alla trascendenza che noi tutti abbiamo interiorizzato e che fa parte del nostro patrimonio nazionale, almeno ancora per qualche generazione, visto che l'analfabetismo religioso si diffonde fra i giovani e tra uno o due generazioni, l'erosione potrebbe essere irreversibile. Avviare allora un lavoro dello spirito, una ricerca di vocazione a tutti i livelli, contrasterebbe il soggettivismo spento, orienterebbe le comunità sociali, grandi e piccole, verso il recupero di valori civili e sociali, valori magari con risonanze religiose, ma senza richiami ad appartenenze, sarebbe un bel modo per incoraggiare il Paese ad andare oltre.
La prospettiva allora non dev’essere quella di “andare in missione” nella zona grigia, ma di sperare (e qui sta il senso della “Responsabilità della Speranza”) che la zona grigia sia già in missione per conto dello Spirito. Non c’è niente da insegnare, perché la vocazione non si insegna, ha al suo interno la forza propulsiva per realizzarsi; questo non vuol dire che non servano le condizioni necessarie perché la vocazione, prima si manifesti e poi possa realizzarsi. Come cristiani nella società dovremmo sentire questo come nostro compito, che è anche il compito di una politica come professione. Certo, anche dal punto di vista della Chiesa, serve un lavoro di rafforzamento dell’armamentario spirituale e di orientamento, non ovviamente dello spirito, che è sommamente libero e soffia dove vuole, bensì di quali opportunità la società offra al lavoro dello spirito. Un’azione quasi a distanza, come di chi, da una posizione privilegiata, sappia indicare i sentieri su cui può essere vantaggioso muoversi.
Non si tratta di affrontare un deserto, né tantomeno un territorio ostile, anzi forse c’è in giro meno indifferenza di quel che si immagina; si tratta di tornare ad occuparsi della zona intermedia della società, evitando i margini esterni degli opposti oltranzismi: quello dei saldi “pochi ma buoni”, come quello delle pretese sempre nuove. Tornare a quella che Romano Guardini chiamava “l’officina dell’esistenza”, la nostra zona grigia occupa già la zona intermedia della società e forse è un bene anche per lo zoccolo duro dei praticanti, sempre citando Guardini: «Una vita priva di questa zona intermedia diventa irreale, poiché qui è il luogo dell'attuazione reale». Riprendiamo la sfida dell’attuazione reale, nella linea del Montée, Progressio e Promozione, che scommette sull’uomo reale, nel suo impasto di mediocrità e di vocazione al divino. E a compiere questo lavoro dello spirito, devono sentirsi chiamati principalmente i laici, che sono quelli più impastati alla società. Servono laici, uomini e donne di buona volontà, capaci di riconvertire le esperienze cristiane in esperienze umane e viceversa, di fare un lavoro dello spirito nella società, di aiutare nella ricerca di un fine le tante esperienze civili che, senza vocazione, rischiano di sciupare energie.
Occorre, tutti insieme, trovare ambiti e strumenti per fare questo tipo di lavoro, ritrovando anche un linguaggio per parlare al mondo contemporaneo incarnandosi in esso, forse riscoprendo il linguaggio “in parabole”, essere capaci di immaginare e di narrare storie, magari favole, per raccontare le cose di lassù, partendo dalle realtà di quaggiù.