No, non avrebbe eliminato lo scandalo delle sovraffollate e spesso inumane prigioni italiane, la legge sulle misure alternative alla detenzione e sulla 'messa alla prova'. Così come non lo ha eliminato il precedente decreto erroneamente etichettato (dai detrattori) 'svuota-carceri'. Secondo i radicali, il provvedimento avrebbe riguardato appena 254 persone. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha corretto la cifra in 2.100. Ma non è questo, se ci è permesso, il punto. Il punto è che quel disegno di legge affossato ieri al Senato a pochi metri dal traguardo – la Camera lo aveva infatti già approvato – per iniziativa dell’Idv, della Lega e di due gruppi scaturiti dal Pdl, avrebbe rappresentato un segnale preciso di attenzione. Non solo verso le poche persone (comunque persone, non numeri) che ne avrebbero beneficiato, ma anche per le altre 60mila e oltre 'condannate' alla pena accessoria di dividere in sei o in otto una cella di pochi metri quadrati e di usare a turno un buco nel pavimento come toilette.Dimenticavamo: più di un terzo di quelle persone sono recluse in attesa di giudizio. Il testo rispedito in commissione dall’Aula di Palazzo Madama – dove subito dopo i tantissimi senatori-avvocati hanno incassato l’approvazione in via definitiva della riforma della professione forense, la loro professione – conteneva semi di civiltà giuridica (la detenzione domiciliare per i condannati a pene inferiori a 4 anni; la sospensione del procedimento penale con 'messa alla prova' dell’imputato, già presente nella giustizia minorile) che, germogliando, avrebbero dato nel tempo i loro frutti. E conteneva anche un piccolo seme di speranza per chi crede che il carcere dovrebbe essere scuola di legalità, non di crimine.
Esultino pure, dunque, i manettari e i forcaioli della prima e dell’ultima ora: hanno vinto. E non si offendano se ricordiamo che alcuni, tra loro, si sono dimostrati garantisti fino a sfidare il ridicolo quando si è trattato di prendere decisioni o di difendere norme che in qualche modo potevano interessare le grane giudiziarie di un loro leader, alleato od onorevole collega. Sappiano, però, che stanno applaudendo all’ennesima occasione mancata da questo Parlamento per lasciare un segno in positivo.
L’ultima occasione. La penultima è stata bruciata non rifinanziando, nella legge di Stabilità, il fondo già esiguo destinato a lavoro penitenziario. Con tanti saluti all’articolo 27 della Costituzione, che invece noi, cocciuti, vogliamo ricordare tutto intero: «La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte» .