mercoledì 23 ottobre 2013
Trasferiti dall’Afghanistan 3.500 militari: jihadisti nel mirino. L’affermazione di milizie islamiste nel nuovo scenario ha cambiato le strategie americane, dirottando nel teatro africano centinaia di uomini. Da qui a un anno saranno più di cento le missioni ordinate da Washington: in molti casi si tratterà di addestrare le forze locali in modo da evitare un dispiegamento massiccio di marine.
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Cambiano gli scenari politici e mutano, di pari passo, gli obiettivi militari. Da qualche tempo gli Stati Uniti stanno variando le loro priorità nella lotta al terrorismo, complice l’emergere di milizie in regioni prima considerate “periferiche”. È il caso dell’Africa, continente in cui il Pentagono sta allacciando nuove partnership tanto che, come ha svelato il New York Times, migliaia di uomini una volta diretti in Iraq o in Afghanistan vengono ora inviati per delicate missioni nel continente nero.La strategia non prevede però necessariamente un impegno massiccio di truppe sul terreno, quanto soprattutto l’invio di piccole squadre e di istruttori che possano addestrare le forze locali in modo da lasciare a queste ultime il compito di fronteggiare la minaccia terroristica e ridurre così al minimo le eventuali perdite tra i marines. Entro un anno si calcola che saranno più di un centinaio le missioni di questo tipo per le quali si attingerà ai 3.500 uomini della Prima divisione fanteria Usa. La brigata ha già inviato, ad esempio, 150 militari a Gibuti, nel Corno d’Africa, per proteggere le sedi diplomatiche durante le emergenze, conseguenza dell’attacco di un anno fa all’ambasciata Usa a Bengasi, in Libia. Altri 350 soldati saranno invece mandati in Sudafrica, ma ci saranno anche missioni più limitate, come l’invio di una mini-squadra di due cecchini in Burundi e sessioni di addestramento radio in Mauritania.«Il nostro obiettivo è di aiutare gli africani a risolvere problemi africani, senza avere sul posto una grossa presenza americana», ha sottolineato il tenente colonnello Robert Lee Magee, ufficiale il cui battaglione ha spedito truppe in Burundi, Niger e Sudafrica. I raid americani di questo mese in Libia e in Somalia contro alcuni leader terroristici hanno ribadito l’espandersi della minaccia estremista in Africa e la rinnovata urgenza di spazzar via le cellule terroristiche prima che queste possano crescere. Istruttori americani hanno già aiutato nell’addestramento le forze locali in Kenya e Tanzania, che combattono contro il gruppo islamista somalo al-Shabaab. «Dobbiamo continuare a contrastare questi gruppi», è la posizione del presidente Barack Obama, choccato per il recente sanguinoso attacco degli shabaab in un centro commerciale di Nairobi in cui hanno perso la vita decine di persone. Gli shabaab puntano da anni a prendere il controllo di Mogadiscio, quella Mogadiscio ancora viva nella memoria dell’esercito Usa per la fallimentare operazione del 1993 poi passata alla storia come quella del “Black hawk down”. Secondo il generale Ray Odierno, l’obiettivo è di «dispiegare sul campo un’armata che possa essere coinvolta regionalmente in tutti i teatri di combattimento, in modo da sostenere la nostra strategia di sicurezza nazionale». «Nel momento in cui stiamo riducendo le rotazioni nelle aree di combattimento in Iraq e Afghanistan, possiamo usare queste forze per ottenere grandi risultati in Africa», ha spiegato di recente davanti al Congresso il generale David Rodriguez, capo dell’Africa Command. Lo stesso concetto dell’Africa Command, centro militare regionale formalmente attivo dal 2008, è chiamato a fare da “test case” per un nuovo programma dell’esercito Usa che prevede brigate regionali, programma destinato a espandersi l’anno prossimo anche in Europa ed America Latina. Prima di essere dispiegate in Africa, le truppe americane ricevono negli Usa uno specifico addestramento che prevede anche “sessioni culturali” tenute da giovani laureati di origine africana. Poi si parte per una missione specifica. Missioni che una volta venivano compiute dalle forze speciali stanno ora peraltro ricadendo sempre più tra i compiti delle truppe regolari di fanteria. La scorsa estate una ventina di militari sono stati dispiegati in Niger per addestrare la forza di peace-keeping dell’Onu da inviare nel vicino Mali. Tra le minacce che preoccupano gli Usa ci sono poi i miliziani di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e quelli di Boko Haram in Nigeria, gruppo che ha forti legami con al-Qaeda. «Non potremmo insegnare alle truppe locali niente su Boko Haram che loro non sappiano già, ma potremo certamente aiutarle a sviluppare le loro capacità militari», spiega il maggiore Bret Hamilton, 38 anni, veterano di Iraq e Afghanistan.
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