martedì 7 gennaio 2025
Aveva 96 anni. Paracadutista nella Guerra d'Algeria, nel 1972 fondò il Fronte Nazionale. L’annuncio della morte del patriarca xenofobo obbliga la Francia a ripercorrere pagine opache della sua storia
Le Pen in una foto del 1997

Le Pen in una foto del 1997 - ANSA

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Il 21 aprile 2002, qualificandosi a sorpresa per il ballottaggio finale della corsa all’Eliseo, aveva provocato un terremoto politico rimasto nei manuali di storia, non solo francesi. Con i suoi toni spavaldi e le sue provocazioni più volte giudicate pure dai tribunali, Jean-Marie Le Pen, a capo del Fronte Nazionale, aveva aperto una prima breccia verso l’arrivo ipotetico dell’estrema destra anti-immigrazione al potere. Un segnale scrutato, temuto e commentato in tutta Europa.

L’annuncio della morte del "patriarca" xenofobo, a 96 anni, obbliga ora la Francia a ripercorrere retrospettivamente tante pagine nazionali spesso opache. Nel 2002, a vincere fu il gollista Jacques Chirac, confermato all’Eliseo con un risultato "bulgaro" dell’82,21%, dopo una pioggia d’appelli accorati in suo favore che mostrarono l’isolamento politico di Le Pen.

Ma come sottolinea Le Monde, quell’exploit elettorale lepenista al primo turno è comunque rimasto uno spartiacque. Del resto, in quella scia, pur fra mille attriti personali, si è poi innestata la figlia Marine, fino ad abbonarsi di recente alle finali per l’Eliseo e a capeggiare oggi fra i banchi parlamentari dell’Assemblea Nazionale, il più corposo gruppo politico di partito. È tornando da una trasferta nel dipartimento d’Oltremare di Mayotte, durante uno scalo tecnico in Kenya, che Marine ha appreso la notizia.

Jean-Marie Le Pen divenne deputato per la prima volta nel lontano 1956, a 28 anni, per il movimento populista di Pierre Poujade, sedicente difensore, in uno spirito corporativo, dei commercianti e artigiani critici verso l’establishment. Dopo averne preso le distanze, Le Pen conserverà del "poujadismo" l’idea di far leva sul risentimento dei meno abbienti, ma introducendo l’ingrediente programmatico del rifiuto dell’immigrazione.

Dopo essersi arruolato come paracadutista nella Guerra d’Algeria, durante la quale avrebbe praticato la tortura, secondo i suoi detrattori, Le Pen fonderà il Fronte Nazionale nel 1972, cercando di divenire pure un "campione" dei nostalgici delle ex colonie francesi. Un anno prima, le sbandate verbali spavalde da veterano senza pentimenti gli erano già valse una condanna per apologia di crimini di guerra. Politicamente, l’esperienza in Algeria sarà pure sinonimo dell’impossibile riconciliazione con i gollisti.

Condendo i propri discorsi di frecciate e frecciatine non di rado dal sapore razzista, antisemita e persino negazionista della Shoah, Le Pen sarà chiamato con il tempo più volte a risponderne in tribunale.

Anche molti dei suoi nemici gli hanno riconosciuto grandi doti oratorie. Ma al contempo, non pochi dei suoi seguaci l’hanno accusato d’aver conservato fino all’ultimo uno spirito troppo provocatorio, incompatibile con qualsiasi ascesa suprema. Sarà del resto uno dei principali pomi della discordia con la figlia, giunta al timone dell’Fn nel 2011 e divenuta vieppiù allergica all’incontinenza verbale del padre, al punto da privarlo nel 2018 persino del titolo simbolico di presidente onorario del partito.

Nelle ultime ore, in ogni caso, gli amici ancora in vita del "patriarca" ricordano che fu lui, fra gli anni Ottanta e Novanta, a inanellare i primi successi parziali, come l’avanzata alle Europee 1984 (10,95%, tallonando i comunisti), i 35 deputati a Parigi ottenuti con la proporzionale nel 1986, i primi capoluoghi di peso conquistati, come Tolone nel 1995.

Secondo il Figaro, «si spegne la figura politica contemporanea più controversa di Francia». Stringato e fattuale il comunicato di condoglianze dell’Eliseo, per il quale «il giudizio spetterà alla Storia». A sinistra, invece, molti promettono di «continuare a combattere le idee che Le Pen ha lasciato in eredità».

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