Un bormbardamento a Bab al-Hawa, vicino al confine tra Siria e Turchia - Afp
«Hurriyya», libertà, «kurama », dignità, «muwatana », cittadinanza, erano le parole d’ordine della primavera araba in Siria di 10 anni fa a cui Caritas Italiana ha dedicato il rapporto «Siria, la speranza del ritorno» (reperibile nella sezione dossier del sito www.caritasitaliana.it). Una emergenza su cui più volte papa Francesco ha rivolto lo sguardo: nel dicembre 2020, in un meeting al Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, il Papa ha chiesto di compiere «ogni sforzo» per favorire il rientro dei 13 milioni tra profughi e sfollati interni, in «sicurezza» e garantendo le «condizioni economiche necessarie».
Percorsi di pace che in Siria, afferma Caritas Italiana, sembrano «tutt’altro che chiari» mentre la primavera siriana è una «rivoluzione tradita e fallita» che ha lasciato come eredità la guerra civile. In questo decennio, infatti, si è assistito a una «rivoluzione di popolo trasformatasi in un conflitto a ingerenze internazionali, inasprito dalle violenze del Califfato islamico, ad oggi tutt’altro che sconfitto». Caritas Italiana enumera le fasi della guerra: l’iniziale rivolta studentesca (marzo 2011) repressa dal regime; la militarizzazione (2012) della protesa con milizie, molte jihadiste, appoggiate da Turchia e Qatar per sostenere i Fratelli Musulmani; l’instaurazione del Califfato islamico nelle terre sunnite tra Iraq e Siria; l’esercito di Damasco in ritirata fino a quando la Russia non interviene guidando la controffensiva da cui è esclusa solo Idlib, l’ultima provincia ribelle.
«La ferocia della guerra in Siria è spesso attribuita alla brutalità del regime e dell’opposizione, al settarismo e alla jihad», afferma il dossier Caritas, ma il conflitto in Siria non avrebbe potuto persistere così a lungo «senza il coinvolgimento sistematico di potenze straniere. Potenze intente a perseguire i loro piani sulla pelle di un popolo, dilaniato dalla guerra».