venerdì 6 gennaio 2023
Lo Stato chiude le due chiese ai sacerdoti della maggiore confessione cristiana sospettata di collaborazionismo. La replica: statuti cambiati, siamo indipendenti
Uno dei monaci ortodossi cacciati dal Monastero delle grotte di Kiev dal governo ucraino mentre impacchetta le icone antiche da portare via

Uno dei monaci ortodossi cacciati dal Monastero delle grotte di Kiev dal governo ucraino mentre impacchetta le icone antiche da portare via - Gambassi

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«Volete entrare comunque anche se la Cattedrale dell’Assunzione e la chiesa dei Santi Antonio e Teodosio sono chiuse?». Il poliziotto sa bene che la domanda può lasciare interdetti chi si presenta davanti al minuscolo portone della chiesa-ingresso della Trinità. Bisogna passare da questa torre per immergersi nella fortezza religiosa di Pechersk Lavra. Due parole che stanno per “Monastero delle grotte” e che indicano nel centro di Kiev uno dei polmoni storici della spiritualità ortodossa slava. Vuole la tradizione – insieme con gli accordi stretti dello Stato cui appartiene l’area monumentale – che la “collina verso il cielo” leghi il suo nome al patriarcato di Mosca. O almeno così accadeva fino al 1° gennaio quando il Governo ucraino ha sfrattato dai due maggiori luoghi di culto dell’immenso santuario lungo il fiume Dnepr la Chiesa emanazione della Madre Russia, quella che ufficialmente si chiama Chiesa ortodossa ucraina. È l’ultimo atto della crociata voluta dalle autorità di Kiev contro la più numerosa confessione cristiana del Paese finita nel mirino per le sue radici in una nazione che ha scatenato la guerra.

E che si tratti di una cacciata dall’eden del monachesimo ortodosso proclamato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, lo si capisce raggiungendo la piazza su cui le due chiese si affacciano. «Ci hanno estromessi a pochi giorni dal Natale», sussurra un’anziana mentre si sistema il fazzoletto sulla testa. Alla vigilia della festa non solo i cartelli ripetono “Chiuso”, ma anche i sagrati sono pieni di arredi liturgici appena usciti dalle navate e dalle sagrestie. Li hanno portati fuori i sacerdoti-monaci e un gruppo di “perpetue”. Candelabri, amboni, libri sacri ammassati alla rinfusa ma coccolati da chi è costretto a spostarli da dove vorrebbero che rimanessero.

Il clima è teso. E anche una fotografia viene letta come una provocazione. «Che cosa vuoi?», urla uno dei preti. Il grido lo distrae da ciò che sta facendo: impacchettare le icone destinate a salire su un furgoncino. Stessa sorte per le immagini di Antonio e Teodosio, gli eremiti considerati i fondatori del Lavra che, nato fra le caverne, ha attraversato un millennio di storia. Erano collocate nelle pareti della Cattedrale che la Chiesa radiata sente sua, anche perché aveva voluto che fosse ricostruita dopo la distruzione avvenuta durante la seconda guerra mondiale.

«I templi vanno subito svuotati», ha sentenziato lo Stato pochi giorni fa. Un colpo di mano che era nell’aria. A inizio dicembre, quando il presidente Zelensky aveva firmato il decreto con cui apriva l’iter legislativo per vietare ogni comunità religiosa collegata alla Russia, la Chiesa guidata dal metropolita Onufrij si era resa conto che la futura legge avrebbe avuto un unico destinatario: la sua stessa comunità. Tanto che tracciando il bilancio dell’anno il responsabile del dipartimento legale, l’arciprete Oleksandr Bakhov, ha denunciato la «politica religiosa del governo finalizzata alla migrazione violenta dei credenti verso la Chiesa ortodossa dell’Ucraina». Un modo per dire che lo Stato intende favorire il ramo autocefalo, con a capo Epifanij, che si era staccato nel 2018 provocando uno scisma nel mondo ortodosso.

Con l’invasione russa benedetta dal patriarca di Mosca, Kirill – che ieri ha chiesto una tregua di Natale –, anche il fattore ecclesiale è diventato terreno di scontro. E la Chiesa di matrice russa è finita nell’occhio del ciclone con l’accusa di “contiguità” al nemico. Prima le autorità regionali hanno proibito le celebrazioni in alcune zone; poi i servizi di sicurezza hanno fatto scattare perquisizioni nelle chiese e nei monasteri trasformati, a detta degli 007, in «cellule della propaganda russa»; quindi è stata stilata una lista “nera” di vescovi e sacerdoti collaborazionisti.

A nulla sono valse le rassicurazioni dei vertici che ripetono come fin da maggio il Sinodo abbia condannano l’aggressione, cancellato dagli statuti ogni forma di collegamento con Mosca, sancito la «piena indipendenza canonica» dalla Russia, stabilito il centro di governo a Kiev. Ed è stata lanciata anche una campagna per raccontare la Chiesa accanto al Paese sotto le bombe: dagli aiuti per la gente che vive nelle zone occupate alla vicinanza ai militari in prima linea che in una serie di video si definiscono al tempo stesso «ortodossi» della Chiesa sotto scacco e «difensori dell’Ucraina». A loro potrebbe essere «negata la cura pastorale», ha ammonito l’arciprete ipotizzando lo stop dei cappellani al fronte perché sospettati di passare informazioni al Cremlino.

«Le garanzie offerte? Sono solo di facciata», è stata la reazione dei detrattori. Fino alla decisione di Zelensky di verificare la «legalità della presenza» della Chiesa di Mosca nel celebre monastero della capitale. La risposta è arrivata quando il ministero della Cultura ha annunciato che il 31 dicembre non sarebbe stato rinnovato il contratto di concessione. «Ma esso si proroga automaticamente se è in vigore la legge marziale», ha replicato la Chiesa ortodossa facendo leva sullo stato di guerra. Invece, a Capodanno, il dicastero ha ordinato di serrare i portoni per impedire ai sacerdoti di entrare e poi di dare il via allo sgombero da un luogo-simbolo dove comunque rimane – almeno per ora – la sede del metropolita.

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