Le prtoteste contro Brexit davanti a Westminster a Londra (Ansa)
Tribunali in fermento. Partito allo sbaraglio. Popolo in sommossa. Il day after della mossa ad azione “nucleare” con cui il premier Boris Johnson, merco-ledì, ha sospeso il Parlamento per cinque settimane, con l’intento (non dichiarato) di bloccare ogni tentativo di posticipo della Brexit, o un più temuto “no deal”, è una pioggia di lapilli incandescenti. Il laburista Jeremy Corbyn, capo di una coalizione di opposizione trasversale, inevitabilmente allargata anche ai conservatori europeisti, dice di essere pronto alla contromossa e annuncia già per martedì prossimo, giorno in cui l’Aula di Westminster riaprirà i battenti dopo la pausa estiva per poi richiuderli dopo una settimana, fino al 14 ottobre, un altolà «politico». «Quello che faremo – spiega – è presentare un procedimento legislativo per prevenire una Brexit no deal e impedire al governo di chiudere il Parlamento in un momento così cruciale».
Strategia debole, nei fatti, e dagli esiti inefficaci con- siderata la determinazione con cui BoJo, e la sua corte di hard brexiteer, è decisa ad andare avanti sulla strada che darà al Regno Unito un «nuovo inizio», come promesso nell’annuncio della “prorogation”. La carta della sfiducia, una (se non l’unica) delle opzioni che potrebbero, in concreto, fermare la mano dura del governo di BoJo su Westminster, verrà giocata, dice Corbyn, al «momento appropriato ». Quando? Se non nella prima settimana di settembre, l’unica strettissima finestra temporale utile a un’eventuale sfiducia è la nuova sessione parlamentare che la regina Elisabetta aprirà con un discorso inaugurale il 14 ottobre, a due settimane dalla scadenza della Brexit, nonché a una manciata di giorni dall’ultimo Consiglio Europeo (17 e 18 ottobre) prima della separazione definitiva tra Regno Unito e Ue. Tra gli effetti più vistosi di quello che l’autorevole quotidiano economico Financial Timesha definito un «attacco al sistema costituzionale», oltre alle proteste di strada che hanno per ore mandato in tilt il traffico del centro e alla petizione online contro il governo da oltre un milione e 500mila firme in meno di due giorni, ci sono le dimissioni di Ruth Davidson, leader del partito conservatore in Scozia, la regione più ostile alla Brexit e da sempre più incline alle spinte autonomiste, e del capogruppo ai Lord George Young. Non a caso, quello di Edimburgo è uno dei tribunali in cui la resistenza al pugno duro dell’esecutivo si combatte a suon di ricorsi finalizzati a chiedere una revisione giuridica della prassi che consente la sospensione del Parlamento, nella debole speranza di bloccare l’«editto Johnson».
La Corte scozzese si esprimerà già oggi, ma iniziative simili sono in corso anche a Londra, su risoluzione dell’avvocato Gina Miller, e a Belfast, nell’Irlanda del Nord, dove l’attivista Raymong McCord ha presentato un’istanza per chiedere al giudice di «certificare » che un’eventuale separazione “no deal” equivarrebbe a una diretta violazione degli accordi del Venerdì Santo su cui si regge, per adesso, la pace tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Si dice che la “soluzione finale” della chiusura del Parlamento sia stata messa a punto nell’inner circle del gabinetto di Johnson, nell’ambito di quel cerchio magico di cui fanno parte il braccio destro del premier Dominic Cumming, il procuratore generale Geoffrey Cox, il cancelliere di Lancaster Michael Gove, il ministro cattolico Jacob Rees-Mogg e il capo del legislativo di Downing Street Nikki Da Costa. A ispirarli sembra si stato trattato militare del cinese Sun Tzu, L’arte della guerra, che invita a utilizzare la tattica del bluff e del disorientamento per sconfiggere il nemico «senza combattere».
È ancora troppo presto per sapere se BoJo stia scherzando con il fuoco o no, se il suo obiettivo è, come dicono gli osservatori, usare i toni duri in casa per ostentare muscoli d’acciaio in Europa, o mettere il Parlamento contro il popolo. Secondo i sondaggi, questo è certo, i britannici che ritengono inaccettabile la sospensione del Parlamento sono il 47% (non la maggioranza).