Reuters
A dieci anni dalla cacciata di Ben Ali, la Tunisia è di nuovo pericolosamente in bilico tra democrazia e svolta autoritaria. È una situazione dagli sviluppi imprevedibili quella che sta vivendo il Paese nordafricano dopo l'annuncio del presidente Kais Saied che ha silurato il premier Hichem Mechichi e sospeso per 30 giorni il Parlamento. "Un colpo di Stato", l'hanno bollato senza mezzi termini i suoi oppositori, con lo stesso Parlamento che oggi ha definito "nulle" tutte le decisioni del capo dello Stato, assunte "contro la Costituzione".
Il proclama di Saied è giunto domenica notte al termine di una riunione di emergenza con i responsabili della sicurezza dopo l'ennesima giornata di proteste e scontri in varie città, con i manifestanti che chiedevano la fine dell'attuale sistema politico e lo scioglimento del Parlamento. Il presidente tunisino ha annunciato di aver assunto temporaneamente la guida del governo "fino alla nomina del nuovo premier" e tolto l'immunità a tutti i membri dell'Assemblea. In serata ha inoltre imposto il coprifuoco notturno dalle 19 alle 6 e vietato gli assembramenti di più di tre persone, fino al 27 agosto.
Subito dopo il proclama di Saied, migliaia di cittadini festanti si sono riversati nelle strade suonando i clacson delle automobili in segno di giubilo, a dimostrazione del sostegno popolare di cui gode il capo dello Stato, che a notte fonda si è poi concesso un bagno di folla sulla centrale Avenue Bourguiba della capitale per raggiungere la sede del ministero dell'Interno, alla cui testa ha nominato un fedelissimo.
Ma se i sostenitori di Saied hanno festeggiato, il presidente del Parlamento Rached Ghannouchi, leader del partito islamico
Ennhadha, prima forza in aula, ha chiamato i suoi a scendere in piazza per "ripristinare la democrazia" e preservare la rivoluzione, bollando quello di Saied come "un colpo di Stato".
"Chi parla di golpe dovrebbe leggere la Costituzione o tornare al primo anno di scuola, io sono stato paziente e ho sofferto con il popolo tunisino", gli ha replicato il presidente, precisando di aver consultato di persona il capo del governo Mechichi e lo stesso Ghannouchi per telefono prima di annunciare le misure, assunte a suo dire in base all'articolo 80 della Carta.
Stamattina i sostenitori di entrambe le posizioni, Ghannouchi in testa, erano davanti ai cancelli del Parlamento, sigillato dai militari, a manifestare. Ma, forse anche a causa delle temperature oltre i 40 gradi, le folle oceaniche previste da Ennhadha non si sono viste. Gli scenari che ora si aprono sono imprevedibili. Oltre alla scontata posizione contraria di Ennhadha e degli islamisti di Al Karama, che rifiutano le decisioni di Saied, anche l'alleato di governo Qalb Tounes ha definito la mossa del presidente "una grave violazione della Costituzione e delle disposizioni dell'articolo 80". Favorevole invece il potente sindacato Ugtt, che sottolinea tuttavia come le misure eccezionali dovranno essere accompagnate da garanzie costituzionali.
Per capire meglio la situazione sarà importante anche decifrare le reazioni della comunità internazionale. La Turchia, notoriamente alleata dei Fratelli Musulmani, si è detta "profondamente preoccupata" e ha chiesto il ripristino della "legittimità democratica", mentre Germania e Russia si sono mostrate caute. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha sentito il capo della diplomazia Ue Josep Borrell in una telefonata in cui è stata sottolineata la "massima attenzione" con cui l'Italia e l'Unione europea stanno seguendo "gli ultimi preoccupanti sviluppi" e durante la quale è stato ribadito "l'impegno condiviso a favore della stabilità politica ed economica del Paese". Bruxelles ha inoltre invitato i tunisini al rispetto della Costituzione e "a evitare qualsiasi ricorso alla violenza". La Tunisia in queste settimane è il punto di partenza di decine e decine di barconi diretti verso l'Italia. Solo ieri il titolare della Farnesina aveva ricordato che proprio da lì arriva il principale flusso migratorio di quest'estate. Quel che è certo è che né Bruxelles né tanto meno Roma possono permettersi un altro scenario libico a poche miglia dalle proprie coste.
L'affondo di Saied, forte del consenso popolare e della lealtà dell'esercito (al quale si è peraltro appellato anche il Parlamento, invitandolo a stare "al fianco del popolo"), è stato comunque durissimo, rafforzato dalle decisioni di chiudere la sede tunisina della tv araba Al Jazeera, vicina alle posizioni di Ennhadha, e di cacciare anche i ministri della Difesa e della Giustizia. Tutto questo si sta consumando dopo mesi di stallo istituzionale che ha visto il presidente tunisino contrapposto al primo ministro Mechichi per via di un rimpasto governativo già approvato dal parlamento a fine gennaio e mai accettato dal capo dello Stato. Preoccupa gli osservatori il fatto che Saied abbia deciso di avocare a sé anche la carica di Procuratore generale della Repubblica, con la facoltà dunque di poter esercitare l'azione penale e far arrestare anche i deputati, privati dell'immunità. Secondo alcune fonti, nei confronti di Ghannouchi e di altri 64 deputati che hanno problemi con la giustizia sarebbe già stato intimato il divieto di espatrio. I prossimi giorni saranno decisivi per il futuro di questo piccolo Paese così importante per la stabilità dell'area, e anche per l'Italia.