Un'acciaieria a Pittsburgh, in Pennsylvania
«Carbone di taconite e rocce di calcare nutrivano i miei figli e mi mantenevano. Quei fumaioli si stendono come le braccia di Dio in un bel cielo di fuliggine e argilla». Forse nessuno come Bruce Springsteen in “Youngstown” ha reso immortale la nobiltà degli uomini che un tempo si spezzavano la schiena per alimentare altiforni «ad una temperatura più calda dell’inferno» e che vennero traditi dal collasso dell’industria dell’acciaio. Ohio, Pennsylvania, Michigan, ma anche in parte Wisconsin, Indiana e West Virginia: eccola la “Rust Belt”, la “cintura della ruggine”, un tempo orgoglio e vanto dell’industria americana.
«Dalla valle di Monogahela fino ai giacimenti di ferro sui monti Mesabi e su fino alle miniere di carbone sugli Appalachi la storia è sempre la stessa: settecento tonnellate di metallo al giorno. Ora, signore, tu mi dici che il mondo è cambiato, un tempo ti ho fatto molto ricco, talmente ricco che ti sei dimenticato il mio nome», intonava la ballata del “Boss”, uno che non ha mai nascosto le sue simpatie per il partito democratico. Eppure la voglia di riscatto di molti dei macchinisti, dei minatori e dei lavoratori che incarnano i personaggi cantati da Springsteen oggi è più attirata dal populismo di Donald Trump. Il declino economico, la concorrenza straniera, le fabbriche abbandonate hanno portato molti degli abitanti di Youngstown, Ohio, e dell’intera “cintura della ruggine” a guardare alle politiche isolazioniste e protezionistiche del miliardario star dei reality tv.
Lo chiamano “il partito dei lavoratori arrabbiati”, ed è una delle speranze meglio riposte del repubblicano. Sono gli elettori che votano per Trump solo «perché non è Hillary Clinton, perché lui sì che porterà indietro i posti di lavoro finiti in Cina o in Messico» spiega Bob Wilson, commerciante di Youngstown, cittadina che dal 1950 ha visto crollare i suoi abitanti da 166mila a 65mila e perdere dal 1977 oltre 40mila posti di lavoro nell’industria manifatturiera. Più in generale, tra gli anni ’70 e i ’90 l’acciaio americano ha «perso» 260mila addetti, in gran parte nella Rust Belt. «L’acciaio è stato spazzato via. E Obama sta distruggendo il carbone e l’industria mineraria. Hillary vuole solo finire il suo lavoro. Solo una faccia nuova può fermare questa deriva », aggiunge il camionista Bill Skinner.
Qui le promesse di Trump all’insegna di “legge e ordine”, della cancellazione della riforma sanitaria di Obama e della retorica contro gli immigrati da rimpatriare hanno trovato il favore di molti. Nella contea di Mahoning, un bastione tradizionalmente democratico che include la stessa Youngstown, il numero degli iscritti alle liste elettorali repubblicane è più che raddoppiato da marzo a oggi, fino a raggiungere le 36mila persone. Di recente anche Spingsteen ha riconosciuto che molti americani – come i protagonisti delle sue canzoni “The river” e “Death to my hometown” – si sentono maltrattati da Wall Street e abbandonati dalla politica. Hanno subito 30-40 anni di deindustrializzazione e di globalizzazione dell’economia, mentre «le loro voci venivano fondamentalmente ignorate: sono queste le persone che credono che Trump li stia ascoltando e parli per loro», ha sottolineato il rocker.
Secondo molti analisti, però, il miliardario non è stato capace di allargare la sua base fino ad attrarre segmenti elettorali più ampi. Il messaggio di Trump non sembra insomma così variegato e innovativo da andare oltre lo stereotipo del suo elettore uomo-bianco-poco istruito, o così potente da poter sfondare anche nei sobborghi di Philadelphia, di Milwakee e di Detroit, restando invece più confinato alle zone industriali e post-industriali della Rust Belt, oggi meno popolate e quindi meno influenti. Così, se in Ohio il repubblicano è avanti di 3 punti, in altri Stati della regione è costretto a inseguire: è dietro di 5 punti in Michigan e in Wisconsin e di 3,5 nella cruciale Pennsylvania che assegna ben 20 grandi elettori e senza la quale crollerebbero le sue chance di raggiungere la Casa Bianca.
A differenza di Ronald Reagan, che nel 1984 evocava «l’era Born in the Usa» di Springsteen come un simbolo di speranza, Trump ha evitato di citare il cantante dalle simpatie liberal. D’altronde se la visione dell’America di Springsteen è quella di un Paese in cui anime lacere, generose e ribelli danno un senso alle loro esistenze anche grazie alla condivisione del sacrificio, quella di Trump è spesso l’America «di nuovo grande» del mito dell’individualismo e dei furbi da elogiare perché non pagano le tasse. Nello sbandamento collettivo di una campagna elettorale povera di contenuti, «The Donald» spera che il suo messaggio così scarno sia proprio quello che serve per portarlo fino alla Casa Bianca.