Divenuti in fretta polo d’attrazione come mezzo secolo fa per tutti gli europei – italiani in prima fila – i tedeschi sono i primi a vivere le contraddizioni dell’immigrazione che scuotono il Vecchio mondo. Anche se lo Stato sta lanciando nelle città buone pratiche di accoglienza per attrarre manodopera qualificata necessaria per continuare a crescere, la gente fatica ad accettare la multietnicità. L’altro ieri gli italiani, ieri i turchi, oggi la patente di emarginati va ai neocomunitari slavi, cui faticano a concedere gli stessi diritti di assistenza sociale degli altri cittadini Ue. Perché bulgari e romeni sono sinonimo di rom e con loro non si vuole condividere il generoso welfare tedesco. La Germania nel 2012 ha stabilito il record di arrivi dal 1995 con un milione di immigrati in più. Il flusso dall’Italia, secondo l’Ufficio statistico federale, l’anno scorso ha fatto registrare un aumento del 40% e in termini assoluti il Belpaese è lo Stato europeo meridionale che, causa crisi, lo scorso anno ha fornito più cittadini ai land a disoccupazione zero. Il tasso di disoccupazione in Germania marcia al 6,9% con punte vicino allo zero in Baviera. In particolare la disoccupazione giovanile in media è inferiore all’8 per cento, la più bassa dei 28 Paesi dell’Ue. Per reggere questo ritmo la Germania che ha asfaltato la crisi ha bisogno di attrarre sempre più braccia e cervelli. Secondo il ministro federale del lavoro della Cdu Ursula Von der Leyden, entro il 2050 serviranno 30 milioni di persone per compensare il calo demografico. Entro il 2020, almeno cinque milioni. Cosa li aspetta? Non un eldorado, perché le chiavi del successo tedesco sono l’immigrazione gestita per attrarre manodopera qualificata affiancata, però, dalla flessibilità lavorativa che l’Europa del sud mal digerisce per i costi umani (qui compensati dal sistema sociale più efficiente della Ue) e che i tedeschi vorrebbero indicarci come modello. L’altra faccia del boom sono infatti i micro job, precariato part time introdotto dalla riforma del welfare realizzata dal governo rosse verde di Gerard Schroeder 10 anni fa, quando la Germania dieci anni dopo la riunificazione arrancava. Come hanno fatto a risollevarsi? Stefano Casertano, brillante politologo, per anni docente a Berlino e oggi passato dall’altra parte della barricata come corrispondente da Berlino dell’
Inkiesta ha spiegato i segreti dello sviluppo tedesco nell’ebook “Germania Copia e incolla”. «Anzitutto – spiega – quella tedesca è una classe politica capace di esprimere due statisti del calibro di Helmut Kohl e Gerhard Schroeder con visioni di lungo periodo. Il primo è stato il cancelliere della riunificazione e poi ha perso le elezioni del 1998 perché il Paese franava sotto i debiti; il secondo a capo della coalizione rosso verde ha varato una riforma sociale, l’agenda 2010, contrastata da parte della sinistra dell’Spd e del sindacato e che gli costò le elezioni. Ma la riunificazione e più ancora le riforme sociali dello scorso decennio, che hanno aumentato la partecipazione al mercato del lavoro, sono i segreti del boom germanico». Per la quasi totalità degli osservatori, l’altro asso nella manica è il sistema duale di formazione professionale. Qui si studia e lavora contemporaneamente con il contributo del datore di lavoro. Oggi il modello tedesco si sta esportando con accordi di cooperazione con sei Paesi dell’Ue del Sud, le aziende tedesche fanno da apripista nella formazione pratica del personale nelle loro società affiliate all’estero e i land fanno ponti d’oro alla manodopera che viene a lavorare e a studiare in una delle 1300 imprese tedesche all’avanguardia, perlopiù di medie dimensioni. Non c’è solo il sistema duale da copiare, però. La ricetta della maggioranza e delle élite economiche per la crescita dell’Ue anche nelle aree mediterranee in recessione è ben sintetizzata da Matthias Schaefer, economista della Fondazione Adenauer. «A fine anno la crescita tedesca sarà più alta del resto dell’euro zona. L’economia infatti si basa sull’export e la crescita è sostenuta dalla costante domanda di beni prodotti in Germania da Paesi emergenti. Anche la ripresa che si intravede negli Stati Uniti alimenta la domanda di beni tedeschi. Ma per sostenere la crescita la Germania ha bisogno dei migranti». Quanti? «Vanno sostituiti 5 milioni di lavoratori tra i 16 e i 66 anni per il calo demografico e i pensionamenti. La gestione dell’immigrazione è uno dei sistemi più efficaci, perciò la Germania continuerà nei prossimi anni ad attrarre manodopera qualificata. Del resto 15 milioni di tedeschi sono nati all’estero o figli di immigrati, siamo pronti per farlo». Altri sistemi per Schaefer sono l’allungamento dell’età pensionabile a 67 anni e il miglioramento della formazione scolastica per consentire a più studenti di specializzarsi. In generale per la crescita la Germania e l’intera Ue dovrebbero «ispirarsi a due criteri: la gestione dell’immigrazione, favorendola per colmare il gap demografico e in seconda battuta la flessibilizzazione del mercato del lavoro per attuare una forma di resilienza alle sfide del mercato globale. Anche ai Paesi mediterranei servono queste riforme per riprendersi. Noi abbiamo bisognosi un’Europa stabile per crescere, ma senza riforme non è possibile». La Germania, leader europeo, riproduce i timori dei Paesi fondatori dell’Ue verso gli stranieri. Ne ha bisogno e ne ha paura. Dal successo della cultura dell’accoglienza potrebbe derivare un cambio di rotta continentale sull’immigrazione per superare uno dei problemi sociali più grossi di inizio secolo. E dalla vittoria elettorale della Merkel potrebbe arrivare una ulteriore e forte spinta ai governi della Ue meridionale alle riforme in chiave di flessibilità, intese come unico strumento per uscire dall’“abbraccio” mortale della crisi economica.