Il futuro del leggendario welfare tedesco non è scontato e dipende dai migranti. Georg Cremer, 61 anni, economista, un’esperienza ultradecennale nella cooperazione, dal 2000 è il segretario generale della Caritas tedesca, organizzazione con 600mila dipendenti (in pratica il più grande datore di lavoro in Germania), che come la Diakonia evangelica gestisce i servizi socio sanitari in regime di sussidiarietà e collabora con governo, Parlamento e Corte costituzionale. Una delle poche voci istituzionali critiche verso una politica migratoria con tendenze elitarie e la flessibilità spinta che rischiano di creare disuguaglianze. Con lui affrontiamo il tema della difesa dello stato sociale e delle politiche di inclusione in un Paese che da malato d’Europa è tornato ad esserne la locomotiva, ma con una crescente polarizzazione sociale.
È ancora sostenibile il sistema di welfare tedesco?
È garantito nella Costituzione, va aggiornato in continuazione: sono convinto che un buon sistema di sicurezza sociale sia parte della vita quotidiana. La Germania ha un’economia forte, dovremo affrontare i costi del cambiamento demografico, ma il nostro sistema di protezione sociale avrà futuro.
Come andrebbe riformato secondo voi?
A metà dello scorso decennio la Germania ha varato riforme del mercato del lavoro e della sicurezza sociale a supporto dei disoccupati. Il problema principale è che ci sono molti giovani non qualificati o con una formazione professionale tale da non permettere di trovare lavori decenti. Dobbiamo migliorare il sistema scolastico per migliorare le condizioni di chi ha perso il lavoro ed è privo di formazione adeguata. La Germania soffre infatti di carenza di lavoratori specializzati e la disoccupazione – mediamente bassa, con punte in alcune regioni – è dovuta alla mancanza di qualifiche.
Chi sono allora gli esclusi dal boom tedesco?
Stanno peggio gli anziani con pensioni minime, le madri sole, i migranti con bassa formazione professionale e i disoccupati 50enni di lungo periodo. Per questi gruppi le possibilità di accesso a lavori dignitosi sono a rischio. Restano poi fuori dal nostro sistema di sicurezza sociale gli immigrati irregolari o i neocomunitari come romeni e bulgari che in alcuni casi non hanno diritto ad un’assicurazione sanitaria. Questa è una grande questione per la Caritas, vogliamo assicurare a ogni persona in Germania il diritto all’assistenza. Restano in genere le grandi differenze tra Est e Ovest, la disoccupazione è superiore nei vecchi länder della Ddr dove i redditi sono più bassi.
Sta cambiando l’atteggiamento verso i migranti?
I gruppi politici e la gente comune stanno capendo che la Germania è un Paese che dipende dall’immigrazione. Per anni ci siamo illusi del contrario, ma per i cambiamenti demografici e la mancanza di lavoratori qualificati dovremmo dare il benvenuto a chi sceglie di venire a vivere e lavorare qui. Così il dibattito politico è cambiato, anche se c’è ancora paura che la politica a volte alimenta. Alcune città hanno addirittura aperto uffici dell’accoglienza. Questo, però, presuppone una cultura del riconoscimento per gli stranieri già residenti. Ci sono leggi che ancora li discriminano, come ad esempio il fatto che per alcune professioni prima vengano i tedeschi. Solo dal 2012 una legge parifica i titoli di studio conseguiti all’estero
Cosa chiedono Caritas e Conferenza episcopale alle forze politiche in queste elezioni?
Di migliorare la situazione socio sanitaria dei migranti e di chi vive senza permesso di soggiorno. Ai non comunitari non è ancora concessa la doppia cittadinanza e c’è il problema degli irregolari. Vogliamo migliorare le loro condizioni di vita togliendo la paura di espulsioni. Abbiamo presentato proposte su come migliorare la situazione degli anziani che necessitano di cure intensive e delle persone che soffrono di demenza. E su come migliorare il supporto ai disoccupati di lungo periodo che non sono in grado di tornare nel mercato del lavoro. Hanno bisogno di assistenza sociale, a volte psicologica, e di sussidi di disoccupazione più alti. Troppe persone sopra i 50 anni in esubero sono disoccupate. Se vogliamo persone qualificate, ci serve una cultura dell’accoglienza e del riconoscimento per tutti, nessuno escluso .