giovedì 9 gennaio 2025
Mosca e Kiev vicine a un «accordo preliminare» per uno scambio stabile dei detenuti: segnale di un possibile negoziato più ampio. Decisiva la mediazione vaticana
I parenti dei prigionieri dell’Azovtal di Mariupol chiedono, in centro a Kiev, la liberazione dei loro cari detenuti in Russia

I parenti dei prigionieri dell’Azovtal di Mariupol chiedono, in centro a Kiev, la liberazione dei loro cari detenuti in Russia - Reuters

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Quando scoppia la guerra, Alisa ha 5 anni. Tamila, la madre, è una soldatessa di Kiev. Presto arriva il giorno in cui le forze russe invadono il loro villaggio. Tamila era con i soldati e aveva lasciato la figlia con i nonni. E per tre anni Mosca non ha mai permesso alla bambina di poter lasciare la regione occupata e ritrovare la madre. Fino a Natale, quando una difficile operazione di esfiltrazione è andata a buon fine. La notizia arriva quando per la prima volta Mosca e Kiev sono vicine a un accordo stabile per lo scambio di prigionieri.

Dall’inizio della guerra, il 24 febbraio 2022, è la prima volta che le autorità dei due Paesi sembrano intenzionate a stringere un patto permanente per risolvere alcune urgenze di carattere umanitario. Fino ad ora ogni singolo scambio di soldati catturati è avvenuto dopo lunghe mediazioni, esaminando caso per caso. Perciò un accordo duraturo viene interpretato dalla diplomazia internazionale come un primo passo verso la possibilità di un negoziato a più ampio spettro.

Alisa, la bimba liberata ritrovata a Natale dalla madre, ora ha 8 anni, e l’intero tempo della sua prima istruzione lo ha trascorso con insegnanti russi. Con Alisa altri quattro bambini sono stati salvati poco dopo Natale. Quattro erano minorenni di Kherson, la regione per metà ancora controllata dalle forze di occupazione. Erano rimasti bloccati nei territori conquistati dalla Russia, e poi recuperati dalle loro mamme. Un sesto ragazzino che figurava tra i dispersi è stato individuato nei mesi scorsi e finalmente riportato a casa in un’altra regione ucraina. Nel 2024, 449 bambini trasferiti forzatamente in Russia, o nei territori occupati dalle forze di Mosca, hanno potuto lasciare gli istituti nei quali i soldati di Mosca li avevano condotti a partire dal marzo 2022, quando l’invasione russa sembrava inarrestabile. Dal 2022 i minorenni rientrati sono stati 559. Nella sola regione di Kherson i minorenni tornati alle proprie famiglie sono stati 246 lo scorso anno.

Sono numeri, ma soprattutto vite di bambini e delle loro famiglie, dal doppio significato: le procedure per il ritorno stanno fornendo risultati meno occasionali, ma questo conferma che la deportazione di minorenni è un fatto concreto.

Il caso di Alisa non è isolato. Per impedire la deportazione della bambina, i nonni si erano inventati un sacco di storie. Hanno mentito sul reale incarico della madre, dove fosse dislocata e con quale battaglione stesse combattendo. La guerra di mamma Tamila è stata prima di tutto la guerra per Alisa. Un giorno i nonni raccontarono agli ufficiali russi, venuti a fare domande, che in realtà la madre della bambina era in Polonia, dove lavorava con altri emigrati ucraini. Anche Alisa ha dovuto imparare in fretta la parte, pur temendo di essere stata abbandonata dalla madre o che non l’avrebbe mai più rivista. E c’è voluto il lavoro silenzioso e incessante della “diplomazia umanitaria”, perché mamma e figlia si ritrovassero. A questo serve il faticoso intreccio di relazioni tra Kiev e Mosca, attraverso filtri e canali intermedi. E quando un minorenne viene restituito, ufficialmente non si sa mai di chi è il merito, perché nei tre anni di conflitto è stata confezionata una complessa macchina fatta di rapporti personali, triangolazioni internazionali, non di rado missioni sotto copertura.

Nelle scorse settimane è stato possibile accertare attraverso varie fonti (necessariamente da proteggere con l’anonimato) che 40 bambini ucraini di Berdiansk, nella regione di Zaporizhzhia, sono stati arruolati nella “Yunarmiya”. È una sorta di movimento «militare-patriottico» per la gioventù, che promuove l’ideologia dell’aggressione russa e prepara i futuri soldati delle regioni occupate. I bambini sono costretti a prestare «giuramento di fedeltà» alla Russia, a promettere di «difendere i suoi interessi» e a «coltivare un grande patriottismo».

Era già accaduto con un gruppo di adolescenti dell’Ucraina meridionale, tutti provenienti da situazioni di disagio familiare, spediti alla “rieducazione” presso la caserma ”Kadyrov”, a Grozny, dove si addestrano le forze speciali della Cecenia.

Nei mesi scorsi più volte la leadership ucraina ha riconosciuto il ruolo della diplomazia vaticana in favore del rilascio dei bambini e dello scambio di prigionieri. L’inviato del Papa in Ucraina, il cardinale Matteo Zuppi, e il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, sono stati personalmente insigniti dal presidente Zelensky con le più alte onorificenze di Kiev.

I segnali che arrivano dalla diplomazia non sono deludenti come nei primi mesi di conflitto. Ucraina e Russia hanno raggiunto un «accordo preliminare» per effettuare regolari scambi di prigionieri, a partire da quelli gravemente malati e feriti. La conferma è arrivata da Dmytro Lubinets, il difensore civico ucraino, in un’intervista rilasciata all’emittente parlamentare statale Rada. «Non voglio che questo venga subito percepito come un annuncio ufficiale - ha spiegato - ma vedremo se la parte russa manterrà la parola data».

È la prima volta che da Kiev si fa riferimento a una intesa diretta e stabile tra le parti. «Siamo riusciti a stabilire che saranno create liste basate principalmente sulla salute fisica», ha concluso Lubinets.

Secondo le autorità ucraine, ad oggi sono quasi 20mila i bambini ritenuti dispersi o trasferiti con la forza. Tuttavia non è possibile indicare con certezza quanti siano quelli che anche la Corte penale internazionale indica come “deportati”, e quanti per scelta o per necessità delle famiglie siano arrivati volontariamente in Russia o nei territori ucraini occupati.

Le indagini della Corte penale internazionale e quelle della procura generale ucraina non si sono fermate e nelle prossime settimane potrebbero esserci ulteriori sviluppi. Per lo specifico reato di trasferimento illegale di minori sono indagati e ricercati in campo internazionale il presidente russo Vladimir Putin e la sua commissaria ai diritti per l’Infanzia, Maria Llova Belova. Una serie di inchieste indipendenti di giornalisti e attivisti ha però permesso di ricostruire la filiera della deportazione in regioni come quella di Kherson, identificando alcuni funzionari di nazionalità ucraina passati subito dalla parte di Mosca. E a Kherson in queste ore si vivono momenti di terrore, dopo che le forze russe, dislocate sulla riva opposta del fiume Dnepr, hanno intensificato gli attacchi sulla città dove centinaia di residenti tornati nelle proprie case dopo la riconquista ucraina del novembre 2022, stanno nuovamente fuggendo dagli attacchi che fanno temere un tentativo russo di riconquista dei quartieri che affacciano sul fiume e che consentirebbe a Mosca di mettere in sicurezza l’accesso verso la Crimea e in seguito negoziare da una posizione di forza.

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