giovedì 19 settembre 2024
Il leader di Hezbollah minaccia lo Stato ebraico dopo i morti provocati dall'esplosione di cercapersone e walkie-talkie: «Quanto avvenuto equivale a una dichiarazione di guerra»
Un ragazzino a Tripoli segue in tv il discorso di Nasrallah

Un ragazzino a Tripoli segue in tv il discorso di Nasrallah - Ansa

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È stato sì un colpo duro, ma noi non ci piegheremo e Israele avrà la dura punizione che si merita, ma non vi dico «né quando, né dove»: saranno i fatti a dirvelo. Questo, in estrema sintesi, il senso del discorso di ieri del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Una promessa di vendetta che i suoi partigiani – in primis quelli rimasti feriti e mutilati nei cyberattacchi – avrebbero forse preferito sentire in maniera più precisa. Nel corso dei sessanta minuti in cui diverse tivù locali e straniere trasmettevano l'intervento, rimbalzavano sullo schermo le notizie di missili Hezbollah lanciati contro la postazione militare di Beit Hillel, di sirene d'allarme scattate a Nahariya, di raid israeliani su diverse località del Sud libanese.

Per chi seguiva il discorso da Beirut, le parole del Nasrallah sono state coperte dai boati emessi dai caccia israeliani che sorvolavano a bassa quota la città. Lo stesso era avvenuto quasi un mese fa, durate un altro discorso del leader. Nella prima parte del messaggio, Nasrallah ha stabilito che quanto avvenuto martedì e mercoledì può essere definito «un massacro» che equivale a una «dichiarazione di guerra». In due giorni, anzi in due minuti, ha spiegato: «Israele aveva deliberatamente cercato di uccidere 5.000 persone» senza prendere minimamente in considerazione il fatto che i cercapersone potevano esplodere negli ospedali, nei mercati, nelle abitazioni tra i familiari o nelle strade. «Questo fa saltare tutte le linee rosse», ha aggiunto Nasrallah, stigmatizzando il ricorso senza precedenti ad apparecchi civili come arma di guerra. Secondo Nasrallah, una buona percentuale di militanti si è comunque salvata dal «massacro» perché aveva il cercapersone spento, o a debita distanza, o ancora perché il partito non aveva finito di distribuire il lotto incriminato ai suoi partigiani.

«Abbiamo formato, ha specificato, diverse commissioni d'inchiesta per verificare tutto l'iter seguito dagli apparecchi saltati, dalla ditta produttrice alla fase del trasporto e a quella della distribuzione». «Certo – ha ammesso – abbiamo subito un colpo duro, sia a livello umano che della sicurezza, ma la guerra funziona così, a punteggi, e noi supereremo con l'aiuto di Dio questa difficile prova. Questo colpo non ci ha fatto cadere e non ci farà cadere. Anzi, diventeremo più forti e determinati di prima». Nasrallah ha anche illustrato quelli che ritiene essere i tre obiettivi di Israele nei cyberattacchi: uno, scindere il fronte libanese da quello di Gaza; due, colpire la «terra natia» di Hezbollah sfiancando la popolazione sciita affinché chieda una tregua; tre, colpire la catena di comando del Partito di Dio. Obiettivi che, secondo Nasrallah, sono tutti falliti.

«Lo diciamo chiaramente a Netanyahu e a Gallant: il fronte libanese si fermerà una volta che sarà cessata l'aggressione contro Gaza e la Cisgiordania, altrimenti tutti i sacrifici da noi fatti in quasi un anno diventerebbero vani». Riguardo la gerarchia di Hezbollah, Nasrallah ha assicurato che è «intatta e solida» e che era pronta sin dal primo momento del cyberattacco ad affrontare un'invasione nemica. Poi la parte più attesa, quella sulla risposta di Hezbollah. Nasrallah ha lanciato una sfida ai «folli leader che stanno conducendo Israele al baratro». Avete incluso, ha detto in sostanza, il rientro a casa degli sfollati della Galilea tra gli obiettivi della guerra. Io vi dico che non raggiungerete mai questo obiettivo “manu militari”.

A chi invece preconizza la creazione di una fascia di sicurezza in Libano ha minacciato: provateci. «Vi troverete – ha assicurato – di fronte a coloro che avete ferito» martedì e mercoledì. Le ultime battute si sono concentrate sull'inevitabile «giusta e dura punizione». «Non vi dirò né come, né dove, né quando: non saranno a dirvelo le parole, ma i fatti, anche perché ci troviamo nel momento più critico e sensibile del confronto militare».

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