Folla davanti all'ospedale di Baalbek nel Libano orientale dopo l'esplosione, per il secondo giorno consecutivo, di centinaia di apparecchi di comunicazione utilizzati da Hezbollah - Ansa
Il monumento ai “guerrieri beduini” caduti per Israele presidia la pianura tra Haifa e Nazareth. Ma la guerra al Nord è una pagina mai chiusa: una decina di razzi di Hezbollah dalle colline libanesi annunciano la temporanea rappresaglia per l’attacco dei cercapersone. Poco dopo, la nuova umiliante sconfitta militare e spionistica. In Libano centinaia di walkie talkie saltano per aria. Una dopo l’altra, radio ricetrasmittenti esplodono in case, palazzi, negozi, nelle automobili dove i militanti armati si trovavano, molti dopo essere sopravvissuti alla detonazione annunciata dal cicalino dei pager. Poi sono saltati anche vari pannelli solari. In tutto più di 450 feriti, almeno 14 i morti, da Beirut fino a Mosul, in Iraq.
Un’altra operazione dei servizi segreti israeliani che stavolta avrebbero manomesso migliaia di batterie di ricambio acquistate due settimane fa e destinate agli apparecchi usati per non farsi intercettare al telefono. In questo modo, le comunicazioni tra i miliziani sono state compromesse: un colpo durissimo per l’organizzazione. «Ho sempre detto che avremmo fatto tornare gli abitanti del nord nelle loro case. E così faremo», ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con parole che sono suonate come la definitiva conferma all’imminente scontro diretto con le milizie di Hezbollah sul terreno. «Stiamo entrando in una nuova fase della guerra», conferma il ministro della Difesa israeliano Gallant, mentre sulla strada verso il confine si intensifica il dislocamento di truppe. Non sono forze fresche. Provengono da Gaza e da undici mesi di guerra. Marciano in direzione della grande muraglia costruita per tenere a bada le milizie del “Partito di Dio”, mentre dall’altra parte delle alte paratie di cemento arrivano le prime notizie di nuove esplosioni. Lo scontro sul terreno, finora con il muro a fare da rete nel ping-pong mortale di razzi, missili e droni, appare superato dalle parole.
«Avremo bisogno di coerenza nel tempo, questa guerra richiede grande coraggio, determinazione e perseveranza», ha detto Gallant ai piloti dell’aeronautica, a cui ha illustrato obiettivi «chiari e semplici: riportare gli abitanti delle città del nord (oltre 80sfollati a causa dei lanci di Hezbollah, ndr) alle loro case in sicurezza». Il giorno precedente proprio il ministro della Difesa, fino a poche ore fa considerato a rischio licenziamento per profondi dissidi con il premier Netanyahu, alcuni minuti prima dell’attacco ai cercapersone aveva informato gli Usa. Ma ieri, con Blinken in Egitto, Israele si è ripetuta e gli americani faticano a dare a credere che anche stavolta non ne sapessero nulla. Il segretario di Stato Usa Blinken ha raggiunto la regione per tentare di chiudere il negoziato su Gaza, alla vigilia dell’Assemblea Onu della prossima settimana.
Oggi è atteso il discorso del segretario di Hezbollah, quel Nasrallah che sarebbe stato sfiorato dagli attacchi, quando una delle sue guardie del corpo è stata ferita dall’esplosione del cercapersone. Fonti israeliane riferiscono che al leader sciita è arrivato un ultimatum: accettare una proposta di mediazione Usa, o entrare in guerra. Molti si aspettano una dichiarazione infuocata. «Questi attacchi – ha annunciato Hashem Safieddine, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah –, saranno sicuramente puniti in modo unico, ci sarà una vendetta sanguinosa e unica». Cugino e stretto collaboratore del leader, Safieddine ha minacciato Israele con queste parole: «Il nemico dovrebbe sapere che non siamo sconfitti, che non ci piegheremo, che non ci ritireremo e che non saremo influenzati da ciò che sta facendo».
Da Teheran, che nega esplosioni in casa propria, arriva la condanna del governo: «Il terrorismo del regime sionista provoca avversione e disgusto», ha detto una portavoce che si è scagliata non solo contro Israele, ma «i Paesi occidentali e gli Stati Uniti, che nonostante affermino di cercare un cessate il fuoco, sostengono pienamente i crimini, i massacri e il terrorismo cieco del regime sionista nella pratica». Anche l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani, è rimasto ferito nell’esplosione del suo cercapersone martedì, confermando l’esistenza di una linea di comunicazione diretta tra la Repubblica islamica sciita e gli Hezbollah. Restano molti interrogativi sull’intera operazione che Israele non ha rivendicato, ma da cui non prende alcuna distanza. I “pagers” appartenenti ai membri di Hezbollah che sono esplosi a centinaia in Libano martedì facendo oltre una dozzina di morti e più di tremila feriti, erano dotati di trappole programmate per esplodere: lo ha dichiarato un funzionario della sicurezza libanese. I risultati di un’indagine condotta dalle autorità di Beirut hanno dimostrato che «i dispositivi erano pre-programmati per esplodere e contenevano materiali esplosivi collocati accanto alla batteria». L’azienda taiwanese produttrice ha negato di aver effettivamente confezionato i dispositivi sotto accusa. La compagnia “Gold Apollo” ha spiegato che gli apparecchi sono stati prodotti su loro licenza da una società chiamata “Bac”, con sede in Ungheria. Una fonte della sicurezza libanese spiega che Hezbollah ne avrebbe ordinato 5.000 cercapersone. L’indirizzo dichiarato di “Bac Consulting” nella capitale ungherese risulta però disabitato e non appare come una fabbrica. L’amministratore delegato è la catanese Cristiana Arcidiacono Barsony, che in passato ha lavorato per organizzazioni internazionali e negli anni degli studi in Sicilia ha pubblicato, riferisce la sua biografia, approfondimenti per il quotidiano “La Sicilia”, prima di spiccare il volo per il Nord Europa. Arcidiacono ha spiegato a un media ungherese di avere solo «mediato» l’acquisto, escludendo di avere fabbricato i device su cui poi sarebbero intervenuti gli specialisti del Mossad, il servizio segreto israeliano che avrebbe inserito le microcariche di pentrite. Hezbollah aveva scelto sistemi di comunicazione a bassa tecnologia, per sfuggire alle intercettazioni. Ma il messaggio reiterato ancora ieri è chiaro: Israele è in grado di penetrare fin nel cuore dell’organizzazione che adesso potrebbe dover fronteggiare una guerra di attrito dalle proporzioni e dalle ricadute regionali incalcolabili.
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