lunedì 2 settembre 2024
Il Paese, stremato, potrebbe scendere di nuovo in piazza per protestare. Con i professori in testa. parlano gli insegnanti
La protesta di giugno a Buenos Aires contro la riforma del presidente Milei

La protesta di giugno a Buenos Aires contro la riforma del presidente Milei - ANSA

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L'Argentina potrebbe scendere di nuovo in piazza. Lo aveva fatto lo scorso aprile, quando migliaia di persone si opposero alla decisione del presidente Javier Milei di ridurre i fondi destinati alle università (e sulla quale aveva poi fatto un passo indietro). A settembre potrebbe essere il turno dei professori: tra novembre 2023 e luglio 2024, il salario del personale universitario ha registrato un calo del 45% in termini reali. È una delle categorie più colpite dai tagli che il governo sta applicando all'amministrazione pubblica. «In Argentina, l’università pubblica è davvero uno dei pochi strumenti di mobilità sociale», rivendica Carlos Tolosa, insegnante in pensione che vive a Veinte de Junio, nella periferia di Buenos Aires.

«Il presidente Milei ha promesso che il costo sociale sarebbe stato pagato da quella che lui chiama “la casta”, e invece lo stanno pagando con tagli di bilancio ai pensionati, ai dipendenti pubblici, alle mense popolari». Racconta: «L'anno scorso uscivo una volta al mese a fare colazione con i miei figli, oggi ci costerebbe sette volte tanto: non posso più farlo. Ma il vero problema è che ci sono persone che non mangiano». Non che le cose prima dell’arrivo di Milei andassero bene. È un Paese afflitto da un’inflazione cronica, da un debito estero strutturale e da tasso di povertà che viaggia sul 40%. Lo stesso Tolosa riconosce: «Nel governo precedente non stavamo bene ma c'era un'attenzione verso il popolo. Ora no, il discorso del presidente e di chi lo sostiene è che “chi è povero lo è perché vuole”».

Tolosa si guarda intorno e si considera fortunato. Ha una bella casa con un grande giardino dove alleva api e si produce la propria marmellata. Con il suo lavoro è riuscito a costruirsi quello che un tempo non aveva. È nato in una villa miseria, le città della miseria e a 9 anni ha iniziato a lavorare, vendendo bibite e succhi negli stadi di calcio. Ogni giorno camminava otto chilometri per raggiungere la scuola. Durante le superiori ha trovato lavoro come manovale, poi ha dovuto interrompere gli studi. Solo a 22 anni è potuto tornare sui banchi, si è laureato come professore in Scienze dell'Educazione in un istituto statale e ha conseguito le specializzazioni. Il tavolo del salotto si riempie immagini. Decine e decine di fotografie che ha scattato ai murales dell’eroe nazionale, Diego Armando Maradona. «Molti non sono perfetti, ma non è quello che cerco. Sono stati tutti realizzati nella periferia, ed è il valore di ciò che rappresentano che mi importa», spiega. Emozionato cerca poi un altro plico di fotografie. Raffigurano porte di varie forme e colori scovate in diverse parti dell’Argentina. È un progetto personale che si intreccia con il divorzio che sta affrontando. «Le porte rinchiudono corpi che soffrono, propositi frustrati, emozioni trattenute ed esplose. Dietro di loro c'è vita, vita vera».

Per Tolosa la fotografia è stata una necessità. Racconta di quando nei primi anni 2000 lavorava in una scuola nella villa San Alberto, nel nord della periferia. «Durante una delle prime lezioni, è scoppiata una rissa. Cominciarono a colpirsi, a lanciarsi sedie. Sono stato colpito anch’io da una sedia». In quel momento capì che era necessario cambiare approccio. «Ho proposto ai ragazzi di studiare fotografia invece di continuare con la filosofia: avevamo bisogno di un progetto comune». Decisero di lavorare sulla violenza per capire da dove provenisse e come superarla. «Il problema era che in quel periodo nessuno aveva telefoni con fotocamere. Così sono andato in un negozio: ho spiegato l’idea al proprietario e gli ho chiesto se poteva darmi tre macchine fotografiche che avrei pagato a rate». Tolosa trattiene le lacrime. «È tornato con una decina di macchine fotografiche e me le ha regalate. Mi ha detto di portare le foto quando fossero state pronte e le avrebbe sviluppate». Lo travolge un sorriso pieno: «Così siamo andati con i ragazzi nelle villas».

C’era una sola regola: tutti erano autori di tutte le foto. «Quando ho portato in classe le foto, i ragazzi si sono messi a selezionarle per una mostra e a scegliere dei testi che potessero accompagnarle». L’aula si è riempita di discussioni. «Ma ora litigavano per scegliere una foto». Ripensando al proprio percorso, Tolosa si incupisce: «Un bambino che ora nasce in questo contesto, dove la giustizia sociale è considerata un'aberrazione, non potrà mai aspirare a essere nient’altro che abitante di una villa miseria, un manovale o un raccoglitore di cartone».

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