Una sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo (Ansa)
Giovedì prendono il via le elezioni europee, per ironia della storia proprio nel Regno Unito, che avrebbe dovuto essere uscito il 29 marzo. Un simbolo, e non l’unico, di un voto mai come questa volta ricco di tensione e apprensione. Tra il 23 e il 26 maggio 427 milioni di cittadini europei sono chiamati a eleggere il nuovo Parlamento Europeo in un clima segnato dalla crescente avanzata dei partiti euroscettici e nazionalisti (i cosiddetti «sovranisti»), e la sensazione che potrebbe davvero essere un’elezione decisiva per il futuro dell’Ue. Un clima ben rappresentato dal cortometraggio preparato dall’artista francese Frédéric Planchon e distribuito in tutti gli Stati membri «Scegli il tuo futuro». Il film documenta «i momenti intensi, belli e fragili che vivono i bambini appena nati quando fanno il loro ingresso nel mondo», con una giovane donna a dare loro voce: in quale Europa vuoi farci crescere?
Sullo sfondo, l’incubo dei tentativi di manipolazioni degli elettori a colpi di fake news, con l’occhio rivolto alla Russia. Venerdì il Consiglio Ue ha dato il via libera a un meccanismo che prevede sanzioni mirate contro chi sferra cyber-attacchi, ma anche contro mandanti o finanziatori, ad esempio con congelamento di fondi o divieto d’ingresso nell’Ue. Intanto comunque la pressione di Bruxelles sui social network pare stia funzionando: sempre venerdì la Commissione Europea ha riconosciuto «i continui progressi fatti da Facebook, Google e Twitter sul loro impegno a aumentare la trasparenza e proteggere l’integrità delle prossime elezioni».
Ed è quasi simbolico di questo clima il fatto mai visto prima che ci sarà un Parlamento dal numero «variabile» di eurodeputati. Lo scorso anno, per tener conto dell’uscita del Regno Unito dall’Ue i seggi erano stati ricalcolati a 705 dagli attuali 751. L’Italia ne avrebbe guadagnati tre, passando da 73 a 76 (ad aumentare anche altri 13 Stati membri, tra cui Francia, Spagna, Polonia, mentre gli altri, tra cui la Germania, rimangono invariati). La Brexit è stata invece rinviata ormai al 31 ottobre, e dunque il Regno Unito partecipa, e si ritorna così ai 751 eurodeputati iniziali, salvo poi dover ridiscendere a 705 a Brexit avvenuta. Un pasticcio non facile da risolvere. Le soluzioni sono pragramtiche: in molti Paesi, tra cui l’Italia e la Francia, le elezioni avverranno sulla base della nuova cifra, salvo poi tenere «di riserva » quelli aggiuntivi, che entreranno in carica dopo la Brexit. Altri, come a l’Irlanda, faranno elezioni suppletive.
Il paradosso è che, visto che con ogni probabilità i britannici saranno ancora nell’Ue al momento della costituzione del nuovo Parlamento, il 2 luglio a Strasburgo, parteciperanno almeno al voto sul nuovo presidente dell’Assemblea. E potrebbero anche partecipare a quello sul nuovo presidente della Commissione, due settimane dopo, se al Consiglio Europeo del 20-21 giugno i leader Ue avranno trovato un’intesa sul nome. In realtà, con o senza britannici una cosa è chiara: trovare maggioranze sarà molto più complicato del 2014. Stando a tutti i sondaggi, questa volta i numeri non basteranno per la comoda coalizione Popolari-Socialisti. Un quadro già delineato in varie proiezioni pubblicate (l’ultima ad aprile) dal Parlamento Europeo, e confermata, il 17 maggio, da quella del sito di informazioni Politico.eu (includendo i britannici): i Popolari sarebbero a 170, i Socialisti a 146. Insieme farebbe 316 seggi, per la maggioranza ne servono 376. Bisognerebbe aggiungere dunque i 104 Liberali e macroniani, così si avrebbero 420 seggi. Una Grande coalizione allargata. Resta lo scenario più probabile. Anche perché, al di là della retorica dei sovranisti, le proiezioni confermano stabilmente che i nazionalisti non sfondano, anche se avanzano notevolmente grazie anzitutto alla Lega (che, con 25 seggi, sarebbe la delegazione più cospicua dietro i tedeschi della Cdu/Csu), e al nuovo Brexit Party di Nigel Farage (22 seggi). Non basterebbero a creare quella maggioranza «alternativa» con il Ppe, auspicata da Matteo Salvini e Viktor Orbán: sommando il gruppo che sta creando il leader leghista (72 seggi) ai Conservatori di cui fa parte ora Fratelli d’Italia (61), i Cinque Stelle e i seggi che otterranno insieme il Brexit Party, polacchi e croati (in totale 45), si arriva a un totale di 178 seggi, con i Popolari saremmo a 348. Certo, qualcuno si potrebbe recuperare tra i vari non iscritti o ancora non definiti (stimati in totale a 49), ma c’è soprattutto un altro problema: i nazionalisti hanno orientamenti anche molto diversi, non costituiranno certamente un gruppo unico e alcuni si guardano in cagnesco. A questo si aggiunge che una grossa fetta del Ppe (a cominciare dai tedeschi ma anche, ironicamente, dagli austriaci) non vuole alleanze con le destre nazionaliste. Infine, non ci sono i numeri neppure per l’improbabile coalizione alternativa lanciata dal socialista Frans Timmermans, «da Tsipras a Macron» senza i Popolari: includendo Liberali e macroniani, la Sinistra unitaria, i Verdi e i socialisti si arriverebbe a 354 seggi.
Un quadro complicato dal fatto che Popolari, Socialisti e Verdi insistono sul criterio degli «Spitzenkandidaten», secondo cui il capolista del gruppo arrivato prima deve esser nominato presidente della Commissione (mercoledì sera c’è stato il primo dibattito televisivo tra i sei «candidati alla presidenza della Commissione Europea»). In pole position sarebbe il popolare tedesco Manfred Weber, sostenuto da Angela Merkel. Il problema è che vari partiti, come Liberali, macronisti, euroscettici, non condividono il principio al pari di molti leader. Se alla fine uscirà un nome che non figura tra i candidati e i grandi gruppi insisteranno su quel principio, si potrà avere un impasse. Non a caso il commissario al Bilancio, il tedesco Günther Oettinger, ha detto di non escludere che la Commissione Europea possa esser prorogata oltre la scadenza del 31 ottobre.