martedì 3 dicembre 2024
«L’avanzata degli jihadisti segue quel che è successo in Libano». Il vicepremier e ministro degli Esteri: «Avevamo chiesto a Israele una risposta proporzionata, non sempre è stato così»
Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani

Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani - Ansa

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Ci sono speranze per una tregua a Gaza, con un impegno diretto dell’Italia, senza arretrare dall’obiettivo dei “due popoli due Stati”. Mentre in Siria, dopo l’attacco di Israele a Hezbollah in Libano, si sono create le condizioni per il caos. Anche per Beirut, come per Gaza, l’Italia lavora per mettere al tavolo le parti, facendo leva sui piani per la ricostruzione. La giornata al Cairo del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, durante la Conferenza ministeriale per migliorare la risposta umanitaria a Gaza, è stata attraversata da preoccupazioni e alcuni spiragli. Mentre il governo italiano ha consegnato un messaggio al Cremlino.

Ministro Tajani, Abu Mazen nell’intervista ad “Avvenire” del 30 novembre ha lodato il ruolo del nostro Paese nell’assistenza umanitaria a Gaza, e auspica una operazione diplomatica che sappia tenere insieme la Striscia, Cisgiordania e Libano. Qual è la posizione dell’Italia?

Sin dalla mattina del 7 ottobre, dopo l’orrore dell’assalto di Hamas, l’Italia ha offerto sostegno a Israele, ha ribadito che lo Stato ebraico ha il diritto di difendersi, di rispondere all’attacco terroristico e a debellare la minaccia a Gaza. Ma la guerra non può essere infinita. Israele deve ammettere che i suoi obiettivi militari sono stati raggiunti, e che adesso - dopo la tregua in Libano - è possibile fermare le operazioni a Gaza. Abbiamo chiesto loro una risposta militare proporzionata e non sempre è stato così, e lo abbiamo detto a chiare lettere.

E gli aiuti umanitari?

Abbiamo lavorato da subito per rendere operativa la nostra azione umanitaria. Abbiamo creato una coalizione con organizzazioni internazionali per quella che oggi è una priorità: bisogna portare assistenza al popolo palestinese. L’Iniziativa “Food for Gaza” è nata con due scopi: aiutare il confronto fra agenzie dell’Onu presenti a Roma nel settore alimentare e agricolo (Fao, Pam) con le istituzioni dedicate alla sanità come Croce rossa internazionale e Mezzaluna rossa. Secondo obiettivo: raccogliere tonnellate di aiuti alimentari e medicinali che abbiamo iniziato a inviare a Gaza. Abbiamo offerto con i fondi della Cooperazione 15 camion al Wfp dell’Onu per la distribuzione del cibo dentro la Striscia. Abbiamo coinvolto direttamente sia l’Autorità palestinese che il governo israeliano. Sono due entità politiche di fatto rivali, ma dovranno essere i pilastri politici su cui rifondare un confronto e un negoziato per arrivare alla soluzione dei “due popoli due Stati”.

Al Cairo avete parlato di dopo-guerra e ricostruzione. Come si fa a far arrivare gli aiuti che avete mobilitato? Ci sono segnali dalla diplomazia nella direzione della tregua?

Noi auspichiamo che le discussioni per il cessate-il-fuoco nella Striscia procedano più velocemente. C’è una nuova proposta, un nuovo impulso egiziano. Bisogna aprire i valichi e permettere la distribuzione degli aiuti.

Cosa significa ora l’operazione in Siria e quali le ricadute che più teme?

L’avanzata dei miliziani jihadisti è un’azione che segue quello che è successo in Libano in questi mesi. L’attacco israeliano a Hezbollah ha costretto il movimento sciita a far rientrare i suoi soldati dalla Siria, dove proteggevano molte aree controllate da Assad. Il risultato è quello che abbiamo visto negli ultimi giorni: da Idlib i miliziani si sono mossi velocemente verso Sud, sono entrati ad Aleppo e puntano ad avanzare ancora. Il risultato sarà che prevedibilmente altre forze legate ad Assad entreranno in azione. Hanno iniziato i russi con i bombardamenti aerei, e la stampa segnala che milizie sciite alleate di Assad sono entrate in Siria dall’Iraq. Un nuovo rimescolamento di carte sul campo della Siria, e tutti i giocatori locali hanno l’appoggio di grandi giocatori regionali o internazionali. Ci sarà una nuova fase della guerra civile, e le ricadute sono molto chiare.

Quali? Lei ha parlato dello spostamento di altre migliaia di profughi.

Questo è molto probabile. Ma innanzitutto avremo ancora morte e distruzione per il popolo siriano che ormai vive in una condizione di totale precarietà dal 2011. Per anni un flusso di profughi ha trovato rifugio nel territorio del Libano, che ha accettato centinaia di migliaia di persone con enorme sacrificio. I profughi stavano rientrando in Siria, che di fatto era diventata più sicura. E invece, all’improvviso, di nuovo la guerra civile devasta il paese. Gli Stati della regione devono trovare modo di fermare questa follia che farà esplodere nuovi problemi pericolosi per tutti.

Si prevede una nuova stagione di esodi di civili dalla Siria? Quali segnali avete registrato?

È nei fatti che questo movimento provocherà nuovi flussi in molte aree del Medio Oriente, verso i Balcani, verso l’Europa. La Siria potrebbe tornare ad essere l’epicentro di un disastro che abbiamo l’obbligo di fermare.

Le operazioni degli ultimi giorni non hanno risparmiato le strutture della Chiesa. Lei ha subito condannato questi attacchi, chiedendo agli attori coinvolti di salvaguardare la popolazione civile. Ha ricevuto risposte?

Riteniamo che per ora non ci sia una intenzione di colpire direttamente chiese, istituti religiosi o gli ultimi cristiani che rimangono in quel paese, fratelli a cui guardiamo con grande attenzione. Sono in continuo contatto con il Nunzio, il cardinale Mario Zenari e ho parlato con il Custode di Terrasanta, padre Francesco Patton. La nostra ambasciatrice a Mosca è stata ricevuta al Ministero degli Esteri.

A quale scopo?

Anche per chiedere al governo della Federazione russa di preservare i siti e gli edifici religiosi in tutto il Paese, di non coinvolgere la popolazione. Ci auguriamo che il nostro appello venga accolto.

Torniamo al Libano. Crede che il cessate il fuoco possa reggere nonostante le scaramucce delle ultime ore e l’escalation siriana?

Insieme agli Stati Uniti anche noi come Italia premiamo sulle parti perché la tregua venga rispettata, consolidata e resa permanente. Al Cairo il ministro degli Esteri del Libano ha chiesto all’Italia di avviare i lavori per una conferenza che inizia a preparare la ricostruzione. Anche in Libano, come per Gaza, la comunità internazionale deve contribuire all’assistenza e alla ricostruzione. Ma ripeto, è obbligatorio fermare le guerre, è obbligatorio riprendere il confronto politico e diplomatico. L’Italia farà la sua parte.

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