venerdì 2 agosto 2019
La signora Begum, avvocato, cittadina britannica di origine bengalesi: «Il diagramma della respirazione artificiale migliora Il sostegno delle macchine adesso è minimo»
La piccola Tafida (La foto è stata scattata dalla mamma, Shelina Begum, che l'ha inviata ad Avvenire, autorizzando la pubblicazione)

La piccola Tafida (La foto è stata scattata dalla mamma, Shelina Begum, che l'ha inviata ad Avvenire, autorizzando la pubblicazione)

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Mamma Shelina Begum, 39 anni, avvocato, famiglia di origine bengalese ma nata a Londra, quindi cittadina britannica, è sfinita dalla stanchezza. È dal 9 febbraio scorso, il giorno in cui Tafida si è sentita male, che non torna nella sua casa di Newham, borgo a Est di Londra, per stare accanto alla sua “principessa” giorno e notte. Non meno presente è papà Mohammed, 45 anni, consulente nel settore delle costruzioni, e l’intera famiglia Raqeeb.

Shelina, perché l’ospedale non accetta l’idea di dimettere la bambina?
Perché loro sono convinti che non possa recuperare. Per loro Tafida è morta già da un pezzo, ma non lo è affatto. Ho presentato un ricorso alla Corte per far valere il mio diritto alla libertà di cura. Poco dopo è arrivato quello dell’amministrazione ospedaliera che vuole rendere operativa la sospensione dei trattamenti. Tafida, al momento, è «sequestrata» dall’ospedale, trattenuta contro la mia volontà.

Quali sono le sue condizioni?
Il diagramma che certifica il livello di respirazione artificiale, a supporto di quella naturale, è migliorato rispetto a quello di febbraio, e ci sono documenti a certificarlo. Il sostegno delle macchine che l’aiutano a respirare oggi è minimo (livello 6). L’intubazione serve più che altro per l’alimentazione e l’idratazione visto che non può ingoiare.

Succede spesso, come oggi, che Tafida sia vigile?
Tafida è sveglia e vigile tutti i giorni. Il suo ciclo di sonno e risveglio è normale, come quello di qualunque bambino. È sveglia di giorno, dorme di notte. In questi mesi è pure cresciuta. L’ho notato un giorno perché mentre la cambiavo mi sono accorta che i suoi leggins le andavano stretti.

Che cosa chiede, come madre e cittadina?
Voglio solo che mi venga riconosciuto il diritto di portare via la bambina da questo ospedale, niente altro. Chiedo libertà di cura. Sono estremamente grata per il supporto ricevuto dall’Italia fino ad oggi, spero continui nei prossimi mesi.

Quale, invece, il supporto della comunità locale?
Tutti mi sono stati molto vicini, increduli per le motivazioni che l’ospedale oppone a lasciar andare Tafida in Italia. In particolare, ho l’aiuto della comunità islamica: per loro ciò che l’ospedale vuole fare a mia figlia è inammissibile. Hanno detto che presto si faranno sentire.

Nel caso in cui Tafida dovesse essere trasferita in Italia, pensa che poi tornerete insieme a vivere nel Regno Unito?
Non credo, sono disgustata da questo sistema. Non avevo idea che questo Paese, quello in cui sono nata e cresciuta, dove sono diventata madre e professionista, avesse questo lato oscuro. L’ho scoperto a mie spese quando ho dovuto affrontare il problema. Cosa devo sperare per il futuro? Se il Regno Unito è il Paese in cui si usa buttare all’aria i diritti dei bambini, io sono pronta, e sarei felice di farlo, a rinunciare alla mia cittadinanza.

Che tipo di bambina era Tafida prima di finire in ospedale?
La mia è sempre stata una bambina effervescente, curiosa, piena di vitalità, desiderosa di interagire con tutti e, soprattutto, molto sensibile. Ricordo che qualche giorno prima che si sentisse male abbiamo incontrato nella sala d’attesa del nostro medico curante un suo amichetto di scuola, disabile. Mi ha sorpreso vedere l’affetto con cui lo ha salutato, abbracciato, coccolato. Continuava a ripetere che quello era un bambino speciale per lei e per tutta la classe, che andava amato e protetto più di tutti gli altri perché più fragile. Ho pianto».

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