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Sempre più (inesorabilmente) calante. Per il 14esimo anno consecutivo, il Giappone “dimagrisce”, perdendo, nel 2024, 898.000 persone. Un’emorragia inarrestabile, uno stillicidio costante. Come riportato dal Japan Times, «a ottobre 2024, nel Paese sono stati censiti 120,3 milioni di abitanti, 898.000 in meno rispetto all'anno precedente». Aggiungendo gli stranieri al totale, la popolazione nipponica si è attestata a 123,8 milioni (in calo di 550.000 unità). Secondo il ministero dell'Interno, si tratta della più consistente contrazione mai registrata da quando il governo ha iniziato a raccogliere dati, nel 1950. Con le culle sempre più vuote, cambia – e parecchio – anche il “volto” demografico del Paese. La percentuale di persone di età pari o superiore a 65 anni ha raggiunto un nuovo record: 29,3% del totale. I minori di 15 anni, pari all’11,2% della popolazione, si sono attestati a quota 13,83 milioni, in calo di 343.000 unità rispetto all'anno precedente. Il valore più basso di sempre. Il calo demografico è distribuito il maniera uniforme nel Paese, con la sola eccezione delle prefetture di Tokyo e della vicina Saitama. Tutte le restanti 45 prefetture hanno fatto registrare “performance” negative.
La maglia nera va alla prefettura di Akita, nella parte settentrionale dell'isola di Honshu, che ha incassato la riduzione più marcata. Tokyo non vuole gettare la spugna. Il capo di Gabinetto Yoshimasa Hayashi ha fatto sapere che «il governo sta implementando diverse misure per affrontare il problema», come l'aumento del sostegno finanziario per l'educazione dei figli o l'aumento degli stipendi per le giovani generazioni. «Continueremo a promuovere politiche competitive per la realizzazione di una società in cui chiunque desideri avere figli possa averli e crescerli in tutta tranquillità», ha rilanciato Hayashi. Il Paese ha allargato, anche se timidamente, le rigide norme sull'immigrazione, cercando di colmare le lacune di manodopera nell’assistenza agli anziani e nel manifatturiero. Ma i numeri (impietosi) sembrano inchiodare al fallimento i tentativi di invertire la curva demografica messi in campo finora dalla quarta economia del mondo. Nel 2023, l'allora primo ministro Fumio Kishida dichiarò che il governo avrebbe stanziato 3.500 miliardi di yen (25 miliardi di dollari) all'anno per l'assistenza all'infanzia e altre misure a sostegno dei genitori. Ma i risultati (per ora) latitano.
E come scrive Newsweek, «la finestra temporale per impedire che la crisi demografica diventi irreversibile va restringendosi». L’ex ministro della Salute Keizo Takemi ha indicato come ultima “scadenza” possibile quella del 2030. Superata quella soglia, invertire la rotta sarà impossibile. Secondo Ryuichi Kaneko, demografo e professore all'Università Meiji, «uno dei motivi per cui il calo delle nascite in Giappone sia diventato così grave è che, nel dopoguerra, il Paese ha costruito una società che ha dato priorità assoluta all'attività economica. Nel frattempo, il lavoro di cura che supporta la vita delle persone – come i lavori domestici, l'assistenza all'infanzia e agli anziani – è stato trattato come una questione privata, separato dalla sfera pubblica. E svalutato. In questo quadro di divisione del lavoro basata sul genere, – ha dichiarato l’esperto al quotidiano Asahi Shimbun –, l'onere dell'assistenza è stato sproporzionatamente attribuito alle donne». Senza cambiamenti radicali e incisivi non si esce dal tunnel.