mercoledì 16 aprile 2025
«Qui l’orizzonte di vita è religioso e i leader cristiani, islamici ed ebrei devono reinterpretare i testi. Il punto di riferimento è il Documento di Abu Dhabi»
Francesco Patton è Custode di Terra Santa dal 20 maggio 2016. Il suo mandato, durato nove anni, sta per scadere

Francesco Patton è Custode di Terra Santa dal 20 maggio 2016. Il suo mandato, durato nove anni, sta per scadere - Ansa

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«Beh direi che i tre flagelli di cui parla la Bibbia li abbiamo avuti tutti: peste, fame e guerra». Padre Francesco Patton cerca di sdrammatizzare con una battuta. I suoi nove anni da Custode hanno coinciso con un tempo “eccezionale” per la Terra Santa. Alla pandemia sono seguite la crisi economica e la guerra, la quale, a sua volta, ha acuito la recessione. Accadimenti imprevisti e imprevedibili che il religioso ha attraversato con uno stile capace di combinare modestia, fermezza, ironia e grande capacità di ascolto. Sono gli attributi del “pellegrino”, come questo francescano 60enne ama definirsi. «Siamo tutti forestieri. Ce lo insegna San Francesco riprendendo il Nuovo Testamento. Attraversiamo la vita come un pellegrinaggio: dunque con fiducia, con la consapevolezza di avere una meta e senza attaccarci a nessuna proprietà su questa terra. Mi piace immaginare un mondo di cui tutti facciamo parte ma in cui nessuno ha la proprietà esclusiva».

Pellegrino tra i pellegrini. Così si autodefinisce e sostiene l’importanza di conservare l’essenza del viandante per abitare la Terra Santa. Parole in controtendenza in un luogo lacerato da contese, rivendicazioni contrapposte, ansie di dominio.

Nella Bibbia la terra è sempre di Dio, noi le apparteniamo ma lei non ci appartiene. L'istituzione dei Giubilei aveva la funzione di ricordarlo. Siamo, inoltre, come dice San Paolo, concittadini dei santi e familiari di Dio: l'umanità intera è chiamata a far parte in realtà di un'unica famiglia. Per Dio non esiste la limitazione del diritto di cittadinanza. L’unico ius che conta ai suoi occhi deriva dall’essere creati a sua immagine e somiglianza. Queste riflessioni si fanno molto forti nel luogo dell’Incarnazione. A me personalmente ha consentito di rivivere l’incontro con l'umanità di Cristo, solidale con ogni uomo e donna.

Eppure proprio in nome della religione, in questa Terra, tanti predicano e attuano l’esclusione dell’altro, dell’infedele, del nemico…

Per questo il contributo dei leader religiosi è cruciale. Qui la fede ha un peso enorme, l'orizzonte della vita è religioso. Pertanto le guide delle tre principali comunità – cristiani, ebrei e islamici – sono chiamati a una responsabilità fondamentale: quella di reinterpretare i propri testi in forma nonviolenta. Il punto di riferimento è il Documento di Abu Dhabi, recepito anche in Fratelli tutti. Questo sforzo consente di mettere veramente le religioni a servizio della pace. Alcuni leader religiosi, invece, fanno esattamente l'opposto cioè strumentalizzano i testi religiosi e alcuni contenuti per i loro fini. È evidente che la violenza è dentro la persona, non è dentro quanto è scritto.

Come sono cambiate Israele e Palestina in questi anni?

Ho visto un progressivo spostamento della società israeliana verso una destra sempre più radicale. In realtà, la metà della popolazione rimane laica e secolare, quindi non si riconosce sulle posizioni estremiste. C’è, però, un 20 per cento di estremisti che condiziona società e politica. Nei palestinesi ho notato una progressiva demoralizzazione, soprattutto nei cristiani ma non solo: sembra venuta meno la prospettiva concreta di poter vivere in pace nella propria terra. Il fondamentalismo di Hamas, paradossalmente, ha la stessa visione, per quanto opposta e speculare, all’ultradestra israeliana, entrambi rivendicano per sé tutta la terra “dal Fiume al mare”. In questo contesto, si infrange il sogno palestinese di autodeterminazione.

Questa è la sua ultima Pasqua da Custode. Avviene nel mezzo del Giubileo della Speranza e, tragicamente, della guerra. Avete avuto 6mila permessi perché i palestinesi della Cisgiordania possano venire a Geusalemme per la Settimana Santa. Meno di quelli richiesti, ma in 5mila si sono iscritti per le difficoltà economiche. In questo contesto, che cosa spera per Israele e Palestina?

La speranza, per un cristiano, è una categoria teologica. Non significa desiderare un miglioramento della contingenza bensì avere la consapevolezza che, nonostante la situazione sia drammatica e, nel prossimo futuro potrebbe, probabilmente, peggiorare, il male non prevarrà. Che Dio realizzerà il suo sogno per questa Terra: un luogo condiviso per i figli di Abramo. Anche nel travaglio della sofferenza, lo Spirito soffia. Vediamo dei piccoli segnali: persone e gruppi che, dall’una e dall’altra parte, non rinunciano al dialogo e gettano semi di pace.

Da dove partire per contribuire alla loro crescita?

Dal riconoscimento reciproco dei due popoli. Affinché avvenga, a livello politico, è necessario lavorare sull’educazione. Quest’ultima deve essere pensata in modo da formare e non solo da informare, facendo andare oltre gli stereotipi, i pregiudizi, le ideologie, sull’altro. In tale ottica, rimane esemplare la nostra scuola di musica Magnificat in cui l’80 per cento degli insegnanti sono ebrei israeliani e l’80 per cento degli studenti sono palestinesi, cristiani e musulmani. È stato merito di chi l'ha diretto, dei professori stessi, delle famiglie degli allievi che sono riusciti a tenere la guerra fuori dalle classi. Il Magnificat è una realtà preziosa perché consente di sperimentare come sia assurdo far coincidere i palestinesi con Hamas e gli israeliani con la destra fondamentalista.

C’è un ruolo specifico dei cristiani in questo tempo della Terra Santa?

A livello personale non possiamo cedere alla tentazione di diventare tifosi di una parte, avendo la capacità, al contempo, di stare sempre dalla parte dei più deboli. Come Chiesa, dobbiamo offrire con insistenza un’interpretazione nonviolenta dei testi religiosi. E dobbiamo avere la forza di compiere gesti profetici: è nel nostro Dna francescano. Non è stato profetico Francesco a inviare in Terra Santa i suoi frati disarmati? E grazie alla sua profezia, a differenza dei tanti che sono venuti con la spada, siamo rimasti.

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