Bagnasco (Ccee): la disgregazione del Continente è un disastro non solo per noi, ma per il mondo intero Al nuovo Parlamento chiediamo più democrazia, una vera politica migratoria e sostegno a vita e famiglia
Anche dell’Europa si è parlato molto in questi giorni all’Assemblea della Cei. E secondo un sentire comune che il cardinale Angelo Bagnasco conferma ed estende a tutto l’episcopato continentale. «I vescovi europei credono fermamente nell’Europa unita e auspicano che anche in questa tornata elettorale ci sia una testimonianza concreta che confermi il sogno di un cammino unitario dei padri dell’Europa». L’arcivescovo di Genova, che abbiamo avvicinato in una pausa dei lavori (conclusi giovedì), è da due anni e mezzo presidente del Ccce, il Consiglio delle Conferenze episcopali europee. E proprio da questo osservatorio privilegiato sottolinea: «La disgregazione dell’Ue sarebbe un disastro per l’Occidente in particolare e per il mondo in generale. Nessuno può augurarsela».
Eminenza, quale tipo di Europa è bene auspicare che esca dalle urne di domani?
Un’Europa più unita e più democratica nei suoi organismi, nelle sue funzioni, oltre che più rispettosa per le competenze nelle singole materie. Ci sono infatti materie che vanno assolutamente normate a livello comunitario e altre invece che invece devono essere lasciate al patrimonio profondo, alla sensibilità dei popoli, delle coscienze e delle singole storie.
Ci può fare degli esempi?
Vanno normati i commerci e la politica estera sicuramente. Senza però entrare in dettagli trascurabili che sono francamente incomprensibili. Anche le stesse quote di produzione per gli allevamenti, per il latte, per la frutta, vanno ripensate. Ma altri argomenti sono totalmente da escludere: il concetto di famiglia, il vivere insieme, l’inizio e la fine della vita. Queste materie appartengono a un patrimonio troppo intimo per essere uniformate.
Quali sono dunque suo avviso le priorità del prossimo Parlamento europeo? Anzitutto ripensare gli organismi istituzionali dell’Ue, affinché esprimano maggiormente la volontà popolare dei cittadini. Ad esempio: il Parlamento non può essere - diciamo così - inferiore alla Commissione che non è eletta. Quindi semplificare i singoli organismi, per renderli più efficaci. Infine direi il rispetto delle diversità, che come sempre dice il Papa, devono essere valorizzate, non intese come opposte e contraddittorie.
Lei è preoccupato per i sovranismi e i populismi? Potrebbero portare a un collasso dell’Ue?
Non ce lo auguriamo. Sarebbe un disastro per l’Occidente in particolare e per il mondo in generale. L’Europa ha una missione insostituibile tutta sua, cioè la visione antropologica che qui, grazie al cristianesimo, ha raggiunto il livello così alto sulla dignità umana. Per quanto riguarda sovranismi e populismi, come tutti gli 'ismi', sono delle patologie. Quindi devono essere assolutamente curate. Stroncare è un metodo, che lascia solo dei 'morti' e dei risentimenti. Curare è tutta un’altra. E vuol dire per prima cosa non snobbare nessuno - ciò che a mio avviso è stato fatto anche in Italia, con atteggiamento miope, anziché cercare di capire con serietà e con impegno il perché di certi fenomeni. In secondo luogo ricercare gli elementi di verità, di positività di problematica avvertita e cercare di fare delle sintesi alte. Mi aspetto che il nuovo Parlamento faccia proprio questo, ragionando con calma sui diversi problemi e convogliando tutto con il dialogo verso il bene comune. Anche le nuove presenze che gli elettori invieranno a Bruxelles.
E tra i diversi problemi, quello che più attira l’attenzione è probabilmente la politica migratoria. Come la vedono i vescovi europei?
Secondo il principi del Vangelo che il Papa ribadisce continuamente. Conosco bene i confratelli europei di tutti i Paesi e il loro sentire è quello della Chiesa cattolica. Né poteva essere diversamente. Altra cosa è la posizione dei governi. Ma noi vescovi abbiamo dovere di esercitare la nostra missione di pastori della Chiesa. A me comunque pare che non esista una politica migratoria seria a livello comunitario, perché le quote per i singoli Paesi - butta parola la quota - e i contributi finanziari che l’Europa distribuisce, pur necessari, sono in sostanza dei palliativi. Una vera politica migratoria è un’altra cosa. Se poi pensiamo, come si legge in alcune previsioni, che nel 2050 la popolazione africana raddoppierà e arriverà almeno a due miliardi, l’Ue deve con lungimiranza fare una politica molto più ampia, che tenga presente queste prospettive, non per rinchiudersi in politiche difensive contro chissà quali invasori, ma per tener conto dei cambiamenti geopolitici.
Intanto però la solidarietà viene messa sotto accusa.
In Italia tuttavia le nostre diocesi, nonostante i vari decreti, continuano la loro opera di accoglienza e integrazione, anche con la nuova situazione. Le risorse sono poche, ma questo non ci spaventa. Speriamo che quei provvedimenti legislativi vengano aggiornati in modo realistico oppure applicati in modo umano.
Tra le priorità c’è anche il problema demografico?
Sicuramente. Ed è richiesto un cambio culturale, sul quale il cristianesimo ha molto da dire. Il dono dei figli non è la negazione della libertà dei genitori, casomai è una ricchezza enorme per tutti. Dunque la famiglia con il papà, la mamma e dei figli non va guardata a livello culturale come un ferro vecchio, ma molto più valorizzata. Nello stesso tempo c’è oggettivamente - specie in Italia - un problema di politiche di sostegno familiare, da incentivare come in altri Paesi è successo con buoni risultati.
Nei giorni scorsi è riemerso il problema delle radici cristiane, specie in presenza di forze politiche che utilizzano in maniera strumentale i simboli cattolici. Qual è il giusto rapporto tra laicità delle istituzioni e apporto dei valori cristiani nella vita del Continente?
Il primo atteggiamento di una giusta, sana laicità è quello di riconoscere la realtà e la storia del Continente, che è ispirata, intrecciata, impregnata di cristianesimo. Questo atto di onestà intellettuale l’Ue non l’ha voluto fare e ha distorto le sue radici, negandole. Ma quando neghiamo le nostre radici, non sappiamo neanche più dove andare. È bene che il mondo politico sia avvertito di questo pericolo. A volte, invece, ho l’impressione che l’operazione in corso sia quella di cambiare radicalmente il modo di pensare e di sentire. Ma questa è un’operazione contro natura, non è intelligente. Detto questo, è certo, però, che altra cosa è l’uso strumentale dei simboli cattolici. Un uso che va respinto.