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Marie Lemy è una neuropsicologa haitiana, vive negli Stati Uniti e cerca di smuovere la politica, fuori e dentro il Congresso, per risolvere all’origine la crisi in cui l’isola di Hispaniola è sprofondata: la restituzione del denaro estorto dalla Francia colonialista in cambio del riconoscimento dell’indipendenza.
Che cosa è stato fatto fino ad oggi per risolvere questo conto in sospeso con la storia?
In verità, non un granché. Credo che l’ultimo tentativo risalga al 2004 quando l’allora presidente, il controverso Jean-Bertrand Aristide, chiese insistentemente al governo francese di rimborsare ad Haiti il denaro versato per la libertà. Si dice che sia stata la sua determinazione ad alimentare le frizioni che hanno portato al colpo di Stato e alla sua rimozione.
Alcuni esperti ritengono che Haiti debba trascinare la Francia dinanzi alla Corte di giustizia internazionale: pensa che sia una strada percorribile?
Sì, credo anzi che il Paese si stia preparando a quel livello di controversia legale.
Cosa si può fare nel frattempo?
È fondamentale che l’opinione pubblica mondiale capisca davvero la portata della questione. Haiti non sta chiedendo un favore ma la restituzione di denaro che gli è stato illegalmente tolto. E non è necessario che la riparazione avvenga in contanti. Basterebbero, per esempio, investimenti in istruzione, infrastrutture, sanità, sviluppo. Iniziative da mettere a punto, insieme, seduti al tavolo delle trattative.
Ma pensa che Parigi sia pronta a questo tipo di negoziazioni?
Si dice che un membro del governo haitiano incontrerà il presidente Macron in occasione del 200esimo anniversario del trattato che formalizzò il debito, il 17 aprile. Speriamo che si apra davvero una finestra per il dialogo.
Perché proprio adesso qualcosa si sta muovendo?
Perché la pressione socio-politica a favore è cresciuta insieme alla consapevolezza di quello che è successo. In genere, la storia haitiana non viene insegnata ai bambini francesi. Molti non hanno la più pallida idea di quella triste pagina del loro passato. Per anni, le autorità hanno continuato a dire che nei confronti di Haiti avevano al massimo un debito morale. Qualcosa però sta cambiando. Le generazioni più giovani, è noto, hanno una visione molto diversa su temi come minoranze e schiavitù rispetto a quelle più anziane.
Quali sono i limiti alla piena presa di consapevolezza del problema?
Il retaggio coloniale di altre nazioni, soprattutto europee. I governi di Regno Unito, Spagna e Portogallo, per esempio, tendono a gestire il caso di Haiti con estrema cautela perché legato al dibattito sulla portata legale delle riparazioni che le loro ex colonie potrebbero chiedere. Questo nodo è parte della battaglia.
E qual è la posizione degli Stati Uniti al riguardo?
Gli americani che conoscono la storia non esitano a schierarsi a favore di Haiti. Anzi, sono tra i nostri più grandi sostenitori. Diversa è la posizione del governo. Non dimentichiamoci che anche gli Stati Uniti sono stati colonizzatori. La questione del debito haitiano è legata a doppio filo alla storia americana anche per un altro motivo. Nel pieno della rivoluzione haitiana, Parigi vendeva a Washington la Louisiana, cosa che, seppure gli procurò del denaro, accentuò la sensazione di trovarsi a corto di ricchezze. È questo il motivo per cui i francesi calcarono la mano con Haiti.
Quanti haitiani sanno che con i loro soldi è stata costruita la Tour Eiffel?
Non sono sicura che, fino a qualche tempo fa, la maggior parte della gente sapesse ma con l’avvento dei social media la situazione è cambiata. Tanti sono oggi i giovani che, mossi da una sorta di risentimento, reclamano ciò che la storia ha negato loro: giustizia.