giovedì 3 aprile 2025
Le religiose sono state uccise a Mirebalais, a cinquanta chilometri dalla capitale Port-au-Prince: le hanno colpite assieme a una ragazza della loro scuola che tentavano di portare in salvo
Da sinistra, suor Evanette Onezaire e suor Jeanne Voltaire

Da sinistra, suor Evanette Onezaire e suor Jeanne Voltaire - web

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Hanno fatto irruzione nella casa appena prima del tramonto - racconta una giovane la cui identità non viene rivelata per ragioni di sicurezza -. Hanno razziato per due ore. Poi hanno ucciso suor Evanette Onezaire, suor Jeanne Voltaire (sotto, da sinistra) e la ragazza che era con loro». Il crimine è avvenuto lunedì sera. Un episodio in più nella monotona catena di morte che strangola Haiti e procede al ritmo di 15 vittime al giorno. Tanto che per oltre 48 ore si è perso nel bagno di sangue del «massacro di Mirebalais», cittadina a una cinquantina di chilometri da Port-au-Prince di cui la coalizione di gang Viv Ansam ha cominciato la conquista all’inizio della settimana.

Con un triplice obiettivo: estendere il proprio dominio fuori dalla capitale ormai nelle loro mani, controllare uno snodo cruciale da cui partono le direttrici per il nord e l’est del Paese, ovvero il confine con la Repubblica Dominicana, e liberare gli oltre 500 detenuti del carcere locale.

Decine di persone, tra cui una trentina di banditi, sono state assassinate nell’attacco, la gran parte dei 200mila abitanti si è data alla fuga. Anche Evanette e Jeanne, piccole sorelle di Santa Teresa, avevano lasciato in fretta e furia la scuola nazionale dove lavoravano e si erano rifugiate, insieme a una delle operatrici, nella casa del guardiano. Anche là, però, hanno fatto irruzione i banditi dei gruppi 400 Mawzoo e The Taliban, due dei più feroci, noti per i sequestri di massa e l’impiego abituale della “strategia del terrore”. E le hanno uccise a colpi di fucile, dopo aver messo a ferro e fuoco l’abitazione.

Una ragazza ferita a Port-au-Prince in  un a carica della polizia contro i manifestanti che chiedevano protezione dalle violenze

Una ragazza ferita a Port-au-Prince in un a carica della polizia contro i manifestanti che chiedevano protezione dalle violenze - Reuters

La strage di Mirebalais arriva al termine di due mesi di nuova escalation della violenza dopo una breve pausa a gennaio. I gruppi armati sono decisi a estendere la propria influenza e a blindare gli accessi a Port-au-Prince, controllando l’ultima oasi, il quartiere residenziale di Petionville, ancora zona franca. Per questo, all’inizio di febbraio, hanno cercato di catturare, senza successo, l’enclave meridionale di Kenscoff che conduce a Petionville dalle montagne. A marzo, hanno provato a entrarvi da nord, avanzando dal centro attraverso le aree di Delmas 19, Delmas 30 e Christ Roy. Là si trovano molte comunità di ordini e congregazioni, finite nel fuoco incrociato. «I religiosi e le religiose sono dovuti fuggire da almeno dieci case per salvarsi – racconta una suora salesiana che chiede l'anonimato –: francescane, suore di Sant’Anna, oblati di Maria Immacolata, società di Saint Jacques, suore della Saggezza, monfortani, frati del Sacro Cuore, figlie di Maria Ausiliatrice, salesiani… Sono arrivati il 13 marzo, all’alba. Da allora, come tutti gli altri religiosi sfollati, siamo ospiti di altri confratelli».


Di fronte alla tragedia in corso, si è levato con forza il grido di Max Leroy Mésidor, arcivescovo di Port-au-Prince e presidente della Conferenza episcopale haitiana: «Haiti sta bruciando e ha bisogno di aiuto urgente. Chi verrà in nostro soccorso?». Come ha raccontato l’arcivescovo, «ventinove parrocchie di Port-au-Prince sono chiuse, mentre circa 40 devono operare al limite perché i quartieri sono controllati dalle bande. I sacerdoti sono stati costretti a fuggire, trovando rifugio presso le loro famiglie o in altri istituti ecclesiastici». Appena pochi giorni fa, il 30 marzo, monsignor Mésidor aveva scritto una lettera ai religiosi e alle religiose per esprimere la propria vicinanza. «Alcune comunità sono state sfollate, molte scuole sono state chiuse, suore anziane e malate sono state evacuate nel cuore della notte e intere congregazioni hanno dovuto lasciare le loro case di cura, senza un posto dove ricoverare le altre malate. (…) I nostri fratelli e sorelle consacrati stanno partecipando attivamente alla sofferenza della nostra gente».

L’acuirsi della crisi avviene a un anno dalla creazione del Consiglio di transizione di nove membri, nato per uscire dal baratro dopo la cacciata dell’ex premier Ariel Henry. Il 3 aprile 2024, la Comunità degli Stati caraibici cominciò la discussione che una settimana dopo avrebbe portato all’insediamento del nuovo organismo. Finora, però, l’attesa stabilizzazione non è avvenuta, anzi il caos si moltiplica. In migliaia, mercoledì, hanno sfilato di fronte alla sede del Consiglio a Port-au-Prince per denunciare il fallimento, è stato uno dei cortei più partecipati degli ultimi quattro anni, anche per la presenza delle brigate di vigilanti, forze paramilitari costituite in funzioni anti-gang. Davanti all’ufficio dell’attuale primo ministro, Alix Didier Fils-Aimé, la manifestazione è sfociata in scontri con la polizia che ha disperso i manifestanti con lacrimogeni e, secondo alcuni testimoni, spari. Diverse persone (il bilancio preciso non si conosce) sono rimaste ferite.


Un gesto per i Figli di Haiti: aiuta ad andare a scuola i bimbi della Maison des Anges, l’orfanotrofio sfollato
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Causale: Figli di Haiti

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