Non si è accontentato di ripetere come un mantra – in ogni comizio, discorso, intervista – la parola «Chávez». Il candidato presidenziale Nicolás Maduro ha evocato il suo predecessore, «maestro e padre» – come lo ha definito – per oltre cinquemila volte nei dieci giorni di campagna elettorale-lampo, la più breve nella storia venezuelana.
Alla fine – recita l’ultima, surreale leggenda bolivariana –, il delfino sarebbe perfino riuscito a incontrare il Comandante, apparsogli sotto le spoglie di un colibrì a Barinas, sua città natale. Da qui, la bizzarra tradizione di Maduro di comparire in pubblico sempre con un uccellino di stoffa sul cappello. Nemmeno l’Argentina peronista aveva mai portato a tali estremi l’Evita-mania. Non ha tutti i torti lo scrittore e sceneggiatore Leonardo Padrón nell’etichettare il voto presidenziale venezuelano di domani come «una telenovela».
I toni da realismo magico – con tanto di maledizioni indigene ai rivali – non sono riuscite a evitare lo scontato paragone, all’interno della stessa base chavista, tra il Comandante-incantatore e il suo “impacciato” erede. Che, dal fatidico 5 marzo in cui è morto il “caudillo”, avrebbe perso quasi 20 punti percentuali di gradimento. Passando dal 55 al 35,8 per cento. Il percorso inverso rispetto allo sfidante Henrique Capriles, candidato unico dell’opposizione riunita nel Tavolo dell’unità democratica. Il 40enne, governatore del Miranda, avrebbe riguadagnato consensi, fermandosi a meno di dieci punti di distanza dal chavista. Almeno questo sostiene Datanálisis, società vicina all’opposizione, i cui risultati sono filtrati nonostante il divieto venezuelano di pubblicare sondaggi. Anche l’indipendente Hinterlaces avrebbe confermato la tendenza, pur con lievi differenze.
A contribuire a un certo malessere nelle masse chaviste in carica, la profonda recessione. Di fronte all’aumento del debito e dell’inflazione – quest’ultima supera ormai il 25 per cento –, il presidente in carica e candidato ha realizzato due successive svalutazioni della moneta, il bolívar, per un totale del 46 per cento. Difficile, dunque, per la gente, credere alle sue assicurazioni di migliorare le infrastrutture e i servizi pubblici. È vero che anche Capriles non ha lesinato le promesse, annunciando un aumento dei salari del 40 per cento. Il leader oppositore, inoltre – che dice di ispirarsi al brasiliano Lula – ha garantito di non voler “toccare” le conquiste sociali del predecessore. Il motto: «Non sono l’opposizione ma la soluzione», è diventato il leit motiv della campagna del Tavolo di unità. Certo, a differenza dell’ultima volta – per il voto del 7 ottobre quando Capriles affrontò Chávez – il governatore del Miranda ha alzato i toni, non risparmiando critiche al rivale, accusato di voler manipolare i risultati. Al di là di una poco incoraggiante maggioranza chavista all’interno del Consiglio elettorale nazionale, è comunque improbabile che Capriles riesca a spuntarla domani sull’erede designato dal Comandante. L’obiettivo è, però, quello di accorciare le distanze rispetto ai risultati del 7 ottobre di cui questa consultazione – affermano gli analisti – appare come un secondo turno. Allora Chávez ottenne quasi otto milioni di preferenze contre i sei milioni di Capriles. Stavolta, Maduro ha chiuso la campagna spronando i sostenitori a raggiungere domani il traguardo dei 10 milioni. «Non tradite il sogno del Comandante», ha detto durante il comizio di giovedì. Chiunque vinca, in ogni caso, si troverà ad amministrare un Venezuela in recessione. Il modello chavista ha potuto elargire sussidi a pioggia grazie ai petrodollari derivanti dagli alti prezzi dell’oro nero. Il sistema, però, scricchiola: molti prodotti scarseggiano, gli ospedali pubblici sono a corto di medicinali, i prezzi lievitano, a dispetto dei controlli. E la violenza dilaga con quasi 22mila omicidi nel 2012. La situazione rischia di esasperare le fratture, per ora latenti, all’interno del chavismo. Resta da vedere in tale contesto che parte prenderebbero le Forze armate, da sempre il principale sostegno del Comandante. Non stupisce che molti in Venezuela concordino con Padrón: «Si prospettano giorni feroci».