“Dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico. Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta”.
Leggere “Laudate Deum” a Dubai fa uno strano effetto. Papa Francesco l’ha pubblicata il 4 ottobre, settanta giorni prima che la Conferenza Onu sul clima (Cop28) si chiudesse con un accordo-spartiacque per l’avvio della conclusione dell’era dei combustibili fossili. Un tempo politico molto più lungo degli effettivi due mesi e dieci giorni trascorsi. Allora ben pochi tra osservatori, esperti, attivisti, giornalisti – inclusa la sottoscritta – nutrivano la speranza che qualcosa di buono venisse dalla “Cop dei petrolieri”. Non solo il vertice si sarebbe svolto negli Emirati, una dei primi dieci produttori mondiali di greggio. La sua presidenza era stata affidata a Ahmed al-Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc. Le premesse, dunque, non potevano essere peggiori. La paura di “sporcarsi le mani” ha spinto i principali leader internazionali, dunque - con la lodevole eccezione del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres – a glissare sull’appuntamento, derubricato a evento minore. Complici la drammatica moltiplicazione degli scenari di crisi, i Grandi hanno distolto lo sguardo da Dubai. Il presidente statunitense Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping hanno dato forfait senza troppe giustificazioni nel torpore dei media, salvo poi – nel caso del capo della Casa Bianca – intestarsi il successo.
Francesco, come di consueto, è andato controcorrente. Il Papa 86enne, provato dall’aggiunta di nuovi “pezzetti” all’attuale guerra mondiale, si è sottoposto alla fatica di “aggiornare” la sua storica “Laudato si’” in vista del summit con un’esortazione apostolica. “Laudate Deum”, appunto, in cui il Pontefice rivolge un appello appassionato: “Ai potenti oso ripetere questa domanda: “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?”.
Non solo. Francesco ha deciso di spendere fino in fondo la propria autorità morale per convincere il mondo a fare uno scatto nella transizione ecologica. E, a sorpresa, ha annunciato l’intenzione di recarsi alla Cop28: il primo Pontefice nella storia a partecipare a una Conferenza sul clima. Purtroppo non ha potuto farlo, all’ultimo, per motivi di salute. Tramite il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ha fatto arrivare la propria voce con un messaggio forte e inequivocabile: “Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro!”. Un passaggio del messaggio cattura l’attenzione: “Signore e Signori, mi permetto di rivolgermi a voi, in nome della casa comune che abitiamo, come a fratelli e sorelle, per porci l’interrogativo: qual è la via d’uscita? Quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo”.
Una parola quest’ultima, ritenuta da tanti obsoleta che, proprio a Dubai, ha dimostrato di essere ancora l’unica bussola per gestire l’era globale. Il multilateralismo è difficile, deludente, drammaticamente imperfetto. Come l’accordo adottato alla Cop28 sulla transizione dai combustibili fossili. L’alternativa, però, ce l’abbiamo sotto gli occhi, da Gaza a Kiev. Contro ogni facile – e comodo – disfattismo, contro il rischio di essere malinterpretato e criticato, contro la paura del rischiare che spinge a non agire, Francesco continua a regalarci la profezia di un noi possibile. Il Papa-profeta di “Laudato si” è il Papa di “Fratelli tutti".