giovedì 14 dicembre 2023
Sono spuntati nuovi termini, quattro punti chiave hanno segnato quella che molti definiscono una svolta «storica», anche se alcuni dei leader hanno frenato sempre
L'applauso del presidente al-Jaber dopo la proclamazione della bozza finale della Cop28 a Dubai

L'applauso del presidente al-Jaber dopo la proclamazione della bozza finale della Cop28 a Dubai - Ansa

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A bocce ferme, a ventiquattr’ore dalla proclamazione della dichiarazioni finale del vertice della Cop28 di Dubai che cosa resta di due settimane di incontri, dibattiti e scontri? Un passo in avanti c’è stato. Forse non così vistoso rispetto a quanto ci si aspettava. Ma le Cop hanno anche abituato a passi all’indietro, questa invece ha almeno segnato il punto dal quale partirà la progressiva eliminazione delle fonti più inquinanti: quelle fossili. Ecco le parole, i personaggi e i punti nodali che hanno segnato questa Conferenza. Che ora lascia il testimone a Baku, in Azerbaigian.

Le nuove parole

Debito: i Paesi poveri hanno portato alla Cop28 il dramma del debito a cui sono costretti per far fronte agli impatti del clima. L’articolo 12 del principale documento finale riflette le loro preoccupazioni e reitera “la necessità di risorse pubbliche e basate su erogazioni” per finanziare le azioni di adattamento. Aiuti, dunque, non prestiti.

Diritti umani: dli esperti dell’Intergovernamental panel on climate change ritengono che l’azione climatica sia più efficace se radicata nei diritti umani. Nei testi della Cop28, però, l’affermazione non viene ripresa. La tutela delle prerogative fondamentali è addirittura saltata dal paragrafo relativo al fondo per compensare i Paesi poveri delle perdite causate dal clima. Questo ha suscitato preoccupazione in molti osservatori.

Foreste: le foreste, principali serbatoi di anidride carbonica del pianeta, entrano a pieno titolo in un testo della Cop. Agli articoli 33 e 34 viene ribadita l’imperativo a proteggerle, con una lotta effettiva al disboscamento, da cui dipende il 10 per cento delle emissioni globali. Il riferimento esplicito agli impegni presi nell’ultima Conferenza Onu sulla biodiversità dà un mandato forte per mobilitare le risorse necessarie a tutelarle.

Greenwashing: se n’è parlato molto nei corridoi ma nei testi adottati il termine è sfumato. In particolare, è scomparso il rimando alle raccomandazioni dell’High level expert group in cui si chiedeva agli attori non statali – aziende, investitori, città, regioni di incrementare la trasparenza sugli impegni climatici. A Sharm el-Sheikh era stato chiesto di pubblicarli sul portale ufficiale della Conferenza Onu sul clima ma nulla è stato fatto.

Picco: secondo gli scienziati, i Paesi devono raggiungere il picco di emissioni tra il 2020 e il 2025 per poi iniziare a calare drasticamente. Il testo del documento finale fa solo un breve cenno sulla questione all’articolo 26 dove si sottolinea, però, che questa scadenza non è valida per tutti i Paesi, sulla base delle diverse priorità di sviluppo. Una chiara concessione alle nazioni meno favorevoli a politiche ambiziose


Chi si è distinto

Teresa Ribera

Teresa Ribera - Ansa

Teresa Ribera: segue le trattative climatiche da decenni e frequenta le Cop fin dal vertice di Durban del 2011. Una competenza che Teresa Ribera, la ministra spagnola della Transizione ecologica ha utilizzato per condur-re la battaglia contro i combustibili fossili a nome dell’Ue, di cui Madrid ha il turno semestrale di presidenza. Abile negoziatrice, la sua è stata una delle voci più ferme e ascoltate nel chiedere maggiore ambizione.

Ahmed al-Jaber: le premesse non potevano essere peggiori. Ahmed al-Jaber, il presidente della Cop28 è anche amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc. Naturale, dunque, la sfiducia di esperti e attivisti. Confermata, all’inizio del vertice, dalle rivelazioni dei media che hanno mostrato Jaber negare la relazione tra combustibili fossili e riscaldamento globale. Alla fine, però, il presidente ha portato a casa l’accordo.

Chi ha frenato

Abdulaziz bin Salman: l’Arabia Saudita ha guidato il fronte dei Paesi produttori di combustibili fossili, ostili allo stop. Il suo ministro dell’Energia, Amid Fuel Debate, non ha perso occasione per denunciare il pericolo che il vertice si concentrasse troppo su specifiche fonti energetiche invece di ridurre le emissioni. Alla fine, Riad ha impedito l’impiego del termine «eliminazione graduale» sostituito con «transizione verso l’abbandono».​

Haitham al-Ghais

Haitham al-Ghais - Reuters

Haitham al-Ghais: mai l’Organizzazione dei produttori di petrolio (Opec) era stata tanto attiva durante una Cop. La scorsa settimana, Haitham al-Ghais, il segretario dell’Opec, ha inviato una lettera ai Paesi membri per chiedere di mettere il veto a qualunque riferimento all’eliminazione graduale degli idrocarburi. L’industria fossile ha, inoltre, inviato al summit un numero record di lobbysti, quasi quattrocento.


I punti più importanti

Transizione

È il termine che ha consentito l’accordo dopo una maratona di trattative notturne. Onu, scienziati, attivisti e circa 150 Paesi volevano che il testo includesse un chiaro riferimento «all’eliminazione graduale dei combustibili fossili». Per Riad, però, questa era una linea rossa invalicabile. Alla fine si è trovata una parafrasi con l’espressione «transizione verso l‘allontanamento» dagli idrocarburi. Un escamotage indispensabile per ottenere il consenso di tutti i 224 Paesi parte della Convenzione Onu contro il cambiamento climatico. E compiere un passo storico: l’inizio della fine dell’era di carbone, gas e petrolio.

Riparare i danni

La svolta era arrivata l’anno scorso a Sharm el-Sheikh quando il vertice aveva dato il via libera alla creazione di un fondo per riparare i danni inflitti dal clima ai Paesi poveri. Allora, la battaglia era stata durissima. Il vertice di Dubai, invece, si è aperto con l’approvazione dell’accordo per l’entrata in vigore dell’iniziativa che subito ha ricevuto le prime donazioni. Si parla di poco più di 700 milioni di dollari. Tra i donatori più generosi Italia e Germania con 108 milioni di dollari ciascuno. Briciole, comunque, rispetto alle reali necessità. L’anno scorso gli impatti del clima sono costati ai Paesi vulnerabili 109 miliardi.

Rinnovabili

È stato, forse, il compromesso più facile. Merito del supporto della Cina che si era già impegnata in tal senso con gli Usa nell’incontro del 15 novembre a Sunnylands tra l’inviato per il Clima John Kerry e l’omologo di Pechino Xie Zhenhua. In tutte le versioni del principale documento finale c’è sempre stato l’impegno a triplicare le rinnovabili entro il 2030. Se implementato, questo punto porterebbe a espandere gli attuali 3.400 gigavats prodotti da fonti pulite a 11mila. Il nucleare, menzionato nel testo, non rappresenta, invece, un’alternativa, secondo gli esperti, per gli alti costi e i tempi lunghi. Si parla di almeno 30 anni per rendere la fusione un’opzione su scala.

PIani nazionali

In base agli accordi di Parigi, i 224 Paesi parte hanno l’obbligo di presentare i nuovi piani nazionali di azione climatica – i cosiddetti Ndc – entro il 2025. Finalmente a Dubai è stato definito un calendario per rispettare la scadenza. Entro marzo 2025, tutti gli Stati dovranno far pervenire all’Onu gli impegni per i successivi cinque o dieci anni. E questi devono rappresentare un miglioramento per i precedenti. Il documento della Cop28 indica, inoltre, l’orientamento che i programmi dovranno avere: l’avvio della transizione dai combustibili fossili, sostituiti progressivamente da fonti rinnovabili.

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