
Un gruppo di civili congolesi fugge dai luoghi dove si combatte - Ansa
La regione africana dei Grandi Laghi è una polveriera. L’ennesima conferma viene dalla città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc), prima assediata e poi conquistata in queste ore dal movimento ribelle filo-ruandese M23. Sono già 17 le persone uccise negli scontri, 367 i feriti. E centinaia di migliaia di civili hanno iniziato a fuggire dalle zone dei combattimenti. Che le relazioni tra l’Rdc e il Ruanda siano turbolente a fasi alterne da un trentennio è cosa nota, ma già da qualche tempo le tensioni si sono acuite e la crisi che si è aperta tra Kinshasa e Kigali potrebbe avere degli effetti dirompenti sull’intera macroregione. Ma per comprendere quanto sta avvenendo lungo il confine tra Ruanda e Rdc occorre fare ricorso alla cosiddetta teoria della sincronicità; un concetto secondo il quale gli eventi nella vita non accadono necessariamente per puro caso, ma hanno un significato preciso e si verificano per una ragione specifica. L’oggetto del contenzioso è rappresentato dalle straripanti risorse naturali presenti nella Rdc, in particolare minerali preziosi presenti nel sottosuolo che hanno “globalizzato” i rapporti coinvolgendo attori stranieri. Ma andiamo per ordine. Mentre un tempo le aziende statunitensi controllavo, sotto forma di concessioni, vaste miniere di cobalto nell’ex Zaire, la maggior parte di queste è stata ceduta a società cinesi durante le Amministrazioni di Barack Obama e nel corso del primo mandato di Donald J. Trump.
Sta di fatto che oggi le società cinesi hanno il controllo della maggior parte dei siti di cobalto, uranio, oro, coltan e rame nella Rdc; con il risultato che l’esercito governativo congolese è stato ripetutamente schierato per proteggere gli interessi cinesi sul proprio suolo. La stessa Amministrazione dell’ex presidente statunitense Joe Biden aveva riconosciuto che il monopolio della Cina nel settore minerario della Rdc ostacolava le aspirazioni di Washington nel perseguire le politiche a favore della cosiddetta energia pulita. Inoltre, una commissione per i diritti umani del Congresso degli Stati Uniti nel luglio 2022 aveva raccolto testimonianze in merito al perdurare dell’uso del lavoro minorile e di altre pratiche illegali nelle miniere congolesi, comprese quelle gestite ormai da aziende cinesi. Secondo autorevoli fonti della società civile locale, l’esercito governativo congolese già da diverso tempo sta combattendo i ribelli M23 con l’aiuto di droni e armi cinesi, mentre la vicina Uganda – vale a dire il “terzo incomodo” – ha acquistato armi cinesi per svolgere operazioni militari all’interno dei confini della Rdc con l’intento di snidare un’altra formazione eversiva, questa di matrice jihadista: le Allied Democratic Forces (Adf). Per dovere di cronaca è bene rammentare che il conflitto con il Ruanda era già divampato a fine 2021 quando il gruppo M23, dopo alcuni anni di pace, aveva acquisito il controllo di ampie zone della provincia congolese del Nord Kivu (secondo il governo di Kinshasa e l’Onu con il sostegno finanziario e logistico di Kigali). A sua volta il governo ruandese aveva accusato in quella circostanza la Rdc di sostenere gli estremisti hutu che si oppongono a Kigali.
Stranamente – è un eufemismo s’intende – proprio ora, a distanza di una settimana dall’insediamento di Trump alla Casa Bianca, M23 ha alzato la cresta con l’evidente sostegno ruandese. Anche se nel corso del suo primo mandato definì alcuni paesi del cosiddetto Global South (inclusi alcuni stati africani) come “shithole”, non traducibile per compostezza, oggi fonti vicine al nuovo inquilino della Casa Bianca sostengono che nella sua nuova presidenza farà di tutto per rilanciare la presenza statunitense in Africa, sia per contenere l’espansionismo cinese, sia per garantire l’accesso alle materie prime indispensabili per l’industria interna. Ecco perché è ineludibile il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina in Africa. Certamente, disegnare scenari futuribili è azzardato, ma quello che appare chiaro è quanto la militarizzazione per procura del continente – poco importa se di matrice statunitense, cinese, islamista o altro – finalizzata al controllo delle commodity, oltre alla competizione tra i grandi player internazionali, stia portando a una radicalizzazione dei problemi che affliggono l’Africa piuttosto che a una loro soluzione.