Si scavano altre tombe al cimitero di San Paolo - Ansa
Ogni minuto di ieri, ci sono stati venticinque malati di Covid in più, per un totale di 37.278. Il record assoluto da quando è cominciata la pandemia in Brasile, il 25 febbraio. Nelle ultime 24 ore, inoltre, le vittime sono state 1.388, per un totale di oltre 45mila. Sono questi gli ultimi dati del consorzio di ricerca indipendente creato dai principali media nazionali. Cifre un po’ superiori rispetto al bollettino del ministero della Salute che parla di 34.918 casi e 1.282 decessi. In ogni caso, di questo passo, entro la fine della settimana il Paese supererà il milione di contagi. E il ritmo non accenna a rallentare. Anzi, al contrario, sembra condannato ad incrementarsi ulteriormente secondo gli esperti poiché al picco sembrano mancare ancora diverse settimane. Il Gigante del sud è in ginocchio a causa del coronavirus. Eppure, su impulso del presidente Jair Bolsonaro, uno dopo l’altro, gli Stati cominciano a uscire dal lockdown, incluso Rio de Janeiro, quello con il tasso di letalità più elevato: il 10 per cento, quasi il doppio rispetto alla media nazionale, con quasi 8mila morti confermati e altri 1.163 sospetti. Da due giorni, anche nella regione carioca hanno riaperto i battenti i centri commerciali, ristoranti, bar e centri sportivi. Con buona pace dei medici che denunciano il collasso del sistema sanitario. Altro punto critico sono l’Amazzonia che sfiora ormai i 200mila casi, con più di 8.300 vittime, in base ai dati della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). Di questi, 249 sono indigeni: ben 75 dei 305 popoli nativi sono stati colpiti dall’infezione. E i numeri sono ovviamente sottostimati data la scarsità di test. Il Consiglio indigenista missionario – organismo della Conferenza episcopale brasiliana – ha denunciato con preoccupazione l’incremento del contagio nei villaggi indios del sud-est del Pará, dove i malati sono centinaia e centinaia. A preoccupare, in particolare, i popoli Suruí Aikewara, Assurini e Xikrin, non lontane dalla ferrovia del Carajás dell’azienda Vale, nel cui stabilimento, nel municipio di Parauapebas, c’è stata un’esplosione del virus. I Suruí devono, al contempo, affrontare un’emergenza alimentare, poiché l’epidemia ha impedito loro di svolgere i normali lavori, soprattutto la preparazione della farina di manioca, da cui traggono il sostentamento. «Ora dipendono dai rifornimenti di cibo, ma questi arrivano con il contagocce», ha affermato suor Zélia Maria Batista, delle religiose catechiste francescane. Il Covid, inoltre, ha raggiunto anche la remota frontiera del Pará con il Suriname, dove vivono due popoli in isolamento volontario. Secondo fonti locali, il focolaio sarebbe stata la base militare aerea del villaggio di Missão Tiriyó.