In sottofondo, si sente il rumore della bombe. La fonte – di cui non possiamo rivelare l’identità per ragioni di sicurezza – parla in fretta. «La linea può cadere da un momento all’altro. L’elettricità va a singhiozzo, l’acqua pure, Internet non va. Siamo isolati e disperati», dice con tono concitato. Miriam – il nome di fantasia che abbiamo scelto – lavora in uno degli ultimi quattro ospedali ancora funzionanti ad Aleppo, la città martire, smembrata in zone nel braccio di ferro fra governo e i vari gruppi islamisti. «Prima della guerra ce n’erano 103. Ne sono rimasti ufficialmente 40 ma quasi tutte sono piccole cliniche, riescono a malapena a garantire un primo soccorso. Noi, almeno, abbiamo ancora gli antibiotici...». Medicine e materiale sanitario scarseggia, come ogni bene nella metropoli sotto assedio. «Abbiamo imparato ad arrangiarci: curiamo con quello che c’è», dice Miriam. Ogni giorno, nel nasocomio dove è impegnata, arrivano almeno due o tre feriti. «A volte dobbiamo rimandarli indietro perché non c’è posto. O perché le macchine per la rianimazione sono occupate da altri. È straziante. Tanti sono feriti dagli ordigni o dai mortai: vengono da noi orribilmente mutilati». A questi, si aggiunge il numero crescente di persone colpite da infermità apparentemente comuni che, però, in assenza di farmaci, diventano gravi. «Mi riferisco in particolare alle infezioni intestinali o respiratorie. L’alimentazione scarsa rende i fisici, soprattutto quelli dei minori, facile bersaglio delle malattie», aggiunge la donna, determinata a continuare il suo lavoro nonostante le difficoltà. «Avrei potuto lasciare la città ma non voglio abbandonare i malati. Anche se spesso è frustante non poterli aiutare in modo adeguato. O sapere che altri ordigni potranno colpirli di nuovo». La guerra non fa distinzione tra civili e combattenti. Anzi, sempre più spesso, i gruppi armati si accaniscono con i primi per seminare il terrore. Gli attacchi mirati contro i quartieri cristiani e i raid su scuole e ospedali sono parte di questa folle strategia. «Anche il nostro è stato colpito, ne hanno distrutto quasi metà», spiega Miriam. Come tutti gli operatori sanitari, inoltre, pure lei ha subito minacce. Eppure – ricorda la donna – fino a quattro anni fa, fedi e comunità diverse vivevano in armonia: il modello-Aleppo era sinonimo di tolleranza. «E, ora, questa violenza feroce... è incredibile. La gente di Aleppo – di qualunque religione – non la vuole. Sogna la pace. Aleppo desidera solo vivere».