giovedì 27 marzo 2025
Chiara Griffini (presidente Servizio nazionale minori Cei): attenzione a tutti gli ambienti in cui vivono e sono accolti. Ernesto Caffo (presidente Telefono Azzurro): educhiamo gli adulti all’ascolto
Tutelare i bambini? La prevenzione parta dalle famiglie

Icp online

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“Una formazione che educa, dei controlli che prevengono, un ascolto che restituisce dignità”. Sono i punti sottolineati qualche giorno fa da papa Francesco nel messaggio alla plenaria della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Educazione e formazione sono anche i caposaldi del Servizio nazionale tutela minori della Cei, un impegno che ormai da anni sta innestando nel corpo ecclesiale una serie di sensibilità rinnovate all’insegna della custodia generativa, della cura, dell’attenzione e dell’ascolto nei confronti dei minori. Da dove partire per diffondere e consolidare questa rivoluzione culturale? Nessun dubbio. Una nuova cultura della prevenzione fondata sull’attenzione educativa non può che partire dalle famiglie, cioè da quell’opera di sensibilizzazione degli adulti, e quindi dei genitori, insieme naturalmente agli insegnanti, agli educatori, ai catechisti, agli allenatori sportivi.

«È proprio necessario un nuovo paradigma di tutela – osserva la psicologa Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori – capace di mettere al centro il benessere dei minori e di valorizzare le relazioni positive che fanno parte della sua vita. Custodire il minore nell’oggi significa anche tutelare il suo futuro».

E non a caso papa Francesco, nello stesso messaggio, spiega che quando si avviano pratiche di prevenzione, anche nelle comunità più remote, si sta scrivendo una promessa che riguarda ogni bambino, ogni persona vulnerabile. Grazie a quell’attenzione quel piccolo potrà troverà nella comunità ecclesiale un ambiente sicuro. Si tratta di un impegno che rappresenta anche una scelta spirituale importante, perché – prosegue il Papa – diventa per la Chiesa un segno di quella conversione integrale più volte auspicata.

Chiara Griffini

Chiara Griffini - Alessia Giuliani / CPP

Ecco perché una comunità che guarda al Vangelo dovrebbe avere il coraggio di mettere al centro della sua opera di rinnovamento proprio l’attenzione per le giovani generazioni.

Lo sottolinea anche Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro e membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori: «Sono questioni culturali decisive che non si risolvono con la bacchetta magica ma proprio con quell’opera educativa sollecitata anche dal Papa. Educare vuol dire comprendere i problemi che oggi toccano da vicino i minori, a cominciare dal digitale e dalle potenzialità dell’intelligenza artificiale. E questa attenzione devono averla innanzi tutto i genitori, gli educatori. Come è possibile accompagnare un ragazzo a comprendere la realtà digitale in cui è immerso se gli adulti per primi non ne sono consapevoli e non dispongono della giusta attrezzatura culturale?».

Educare, ricorda ancora Caffo, vuol dire anche saper ascoltare, perché solo dall’ascolto attento si possono mettere a fuoco i problemi e si preparano opportune strategie di aiuto. Temi che Telefono Azzurro approfondirà il prossimo 8 aprile, in occasione della "1° Giornata Nazionale dell'Ascolto dei Minori" nel corso dell’evento “La tua voce conta: costruiamo insieme il futuro”. Appuntamento importante, sancito dalla legge del 4 luglio 2024 per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’ascolto dei piccoli come presupposto essenziale per la tutela dei loro diritti.

E qui siamo al punto di partenza. Quali sono i luoghi dell’ascolto? Quali sono gli adulti che devono essere sensibilizzati perché l’ascolto diventi autentica prassi educativa? «La tutela è una buona prassi che riguarda tutta la comunità cristiana come comunità educante – riprende la presidente Griffini – e deve riguardare tutti i luoghi in cui i minori vivono e sono accolti. Quindi la cura e la tutela parte dalle famiglie e si allarga alla scuola, agli ambienti ecclesiali, a quelli sportivi, perché come Chiesa possiamo fare tutti gli sforzi possibili ma se non lavoriamo in rete con la comunità civile, condividendo e promuovendo questa nuova cultura del rispetto e dell’attenzione verso i minori, il nostro impegno rischia di essere parziale».

È quanto dice anche papa Francesco che sollecita ad operare in sinergia con realtà extra-ecclesiali «perché la tutela diventi linguaggio universale» ma soprattutto perché si possa offrire ospitalità e cura delle ferite dell’anima sullo stile del buon samaritano. Percorso difficile ma non più eludibile, anche a parere del presidente di Telefono Azzurro secondo cui ai ragazzi servono oggi educatori credibili, altrimenti non c’è da stupirsi se la loro attenzione si rivolgerà preferibilmente – come purtroppo già avviene in buona parte - alla rete o addirittura a uno chatpot, quasi che il dialogo e i consigli provenienti dall’intelligenza artificiale siano preferibili rispetto a quelli in arrivo dai genitori, dagli insegnanti, dai catechisti. «Ecco perché abbiamo bisogno di rivedere metodi e parole – continua Ernesto Caffo – anche per rinnovare i nostri percorsi di educazione. L’attenzione empatica alle vittime e a tutte le situazioni di fragilità deve andare di pari passo con la competenza».

Va in questa direzione l’impegno del Servizio nazionale tutela minori della Cei che, tra gli altri appuntamenti dei prossimi mesi, ha organizzato un percorso di educazione all’affettività per i minori in collaborazione con vari Uffici pastorali, tra cui Famiglia, Giovani, Catechesi, Salute. «Sarà un tavolo per lavorare insieme in cui – riprende Chiara Griffini – avremo la possibilità di raccogliere le diverse esperienze per generare nuovi strumenti educativi e mettere a punto più efficaci modalità di lavoro». Accanto all’impegno educativo, sempre più fondamentale, rimane la grande attenzione all’esperienza delle vittime. In questo tempo di Quaresima verranno diffuse riflessioni, in continuità con quelle già presentate per la Giornata nazionale di novembre, messe a punto da un gruppo di vittime e di familiari con l’obiettivo di generare percorsi di cura per chi è stato ferito. «Un’esperienza preziosa – conclude la presidente del Servizio nazionale tutela minori – anche per la formazione degli operatori dei centri d’ascolto presenti ormai in tutte le diocesi».

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