
La leader xenofoba francese Marine Le Pen - ANSA
Quattro anni di carcere per aver frodato all’Europarlamento, di cui due senza condizionale da scontare con braccialetto elettronico. Non solo: cinque anni d’ineleggibilità comminati come una ghigliottina sul sogno di portare, da donna, l’ultradestra all’Eliseo. Per il prossimo lustro, in teoria, zero prospettive di farsi eleggere. A meno che non venga accolta la richiesta di un appello-lampo, finalizzato, fanno capire i legali, a “cancellare” la ricaduta penale delle condotte contestate. Una via giudiziaria da percorrere, mentre quella politica è già iniziata: «Sentenza politica», arringa Le Pen. «Giustiziata la democrazia francese», dice il giovane erede Bardella.
Ma la domanda da ieri è un’altra: la lunga corsa politica della 56enne Marine Le Pen, leader dei nazionalisti francesi, si è davvero chiusa lunedì, in un’aula parigina del tribunale di primo grado? In un giorno né caldo, né freddo? Con gli imprenditori e artigiani, arringati per anni dall’ultradestra, distratti nelle stesse ore dalle scadenze del primo trimestre?
All’ora di pranzo, quando si è saputo della condanna pesantissima venuta giù come una frana sulle ambizioni presidenziali della leader, la Francia è scivolata in un strano limbo. Il reato contestato è appropriazione indebita attribuito a ben 25 volti del Rassemblement national (Rn), nuovo nome dell’ex Front national (Fn) fondato dal “patriarca” Jean-Marie Le Pen, il padre (scomparso a inizio anno) di Marine: nel complesso, un nuovo caso di fondi stornati dell’Europarlamento, 2,9 milioni usati, nel quadro di un «sistema» per le spese di partito e non per preparare le sedute degli europarlamentari.
Ma non è solo la natura del reato a far discutere. A frastornare tanti è pure l’incongruenza apparente fra tutto ciò che da decenni il campo lepenista rappresenta di veemente, ma anche di temuto, e le parole monotone e fatali della pronuncia del verdetto.
Da tempo in testa nei sondaggi, Marine Le Pen, dopo tre aspre campagne presidenziali, di cui le ultime due perse al ballottaggio contro Emmanuel Macron, credeva vicina la propria ora, a coronamento di un’ascesa costante. Anche perché, in una Francia turbata dallo spettro del declino, proliferano risse e divisioni interne negli altri poli politici, da quello neogollista di centrodestra alla gauche, passando per gli “amici” del presidente Macron, confusi sull’identikit dell’eventuale erede. Un paesaggio politico tanto spezzettato da accreditare come mai prima l’idea di un’ultradestra a un passo dall’Eliseo. Tanto che negli ultimi tempi, imitando quasi la spavalderia del padre, Marine Le Pen si vantava d’aver vinto «la battaglia delle idee». Un modo per sottolineare che lo stesso governo del centrista François Bayrou (il quale ieri si è semplicemente detto «colpito» dalla sentenza) deve tener conto delle posizioni Rn, soprattutto su temi come sicurezza e immigrazione.
Adesso, il 31 marzo 2025 potrebbe restare negli annali come una strana data. Un probabile spartiacque, sì, ma per lo spegnimento dell’armamentario preannunciato dai lepenisti in vista del traguardo del 2027.
Doppiata da tanti altri nel partito, la diretta interessata ha rilanciato l’accusa della democrazia nel mirino di giudici opposti a una svolta ai vertici. Un registro cavalcato pure dal 29enne Jordan Bardella, il giovanissimo presidente di Rn che da ieri indossa più che mai i panni del futuro capo predestinato. Nel pomeriggio, è stato proprio lui a lanciare un appello per una «mobilitazione popolare e pacifica» di protesta.
Ancor prima che i vertici Rn si trincerassero in una riunione di crisi, i legali di Marine Le Pen hanno confermato il ricorso in appello, con la speranza di un giudizio prima delle presidenziali del 2027. Fra i condannati per appropriazione indebita, l’ex numero 2 del partito Bruno Gollnisch e Louis Aliot, attuale vicepresidente Rn e sindaco di Perpignan, già a lungo pure compagno di Marine Le Pen.
In tutta Europa, specie sul versante e sovranista, il sismografo delle reazioni ha oscillato freneticamente fino a notte fonda. «Sono Marine!», ha presto lanciato su X il premier ungherese Viktor Orbán, fra i principali alleati continentali di lungo corso di Le Pen. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, pur assicurando di non voler «interferire» con gli affari interni francesi, ha invece notato con tono serio che in generale le capitali europee «non esitano a oltrepassare i limiti della democrazia nel processo politico».