Una Santa Famiglia contemporanea - Disegno di Picasa tratto da chiesasarda.it
Nella festa della Santa Famiglia, la teologa Simona Segoloni Ruta invita a rivedere convinzioni superate: «Maria e Giuseppe, sovversivi per amore, capaci di andare oltre gli schemi culturali dell’epoca» La famiglia di Nazareth? Nella domenica in cui si festeggia la Santa Famiglia è opportuno mettere da parte la tradizione un po’ stucchevole che per troppi secoli ce l’ha dipinta con il colore artefatto del devozionismo fuori dalla storia e dalla realtà. Maria e Giuseppe sono molto, molto di più di questo. «Sono due sovversivi per amore, due alternativi che hanno cambiato la storia», assicura la teologa Simona Segoloni Ruta, docente al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II.
C’è una madre rimasta incinta in modo straordinario, un padre che non è tale dal punto di vista biologico, una fuga in Egitto che lascia supporre la fatica dell’esilio in un paese straniero, la perdita del lavoro, della casa, dei riferimenti fondamentali. Come mai per secoli quella di Nazareth è diventata la famiglia ideale?
Quando leggiamo i Vangeli dobbiamo prestare attenzione a distinguere tra la dimensione storica e la dimensione simbolica soprattutto quando parliamo dei vangeli dell’infanzia di Gesù, che più che raccontare i fatti ci offrono significati per capire la vita di Gesù e l’opera di Dio in lui. Per quanto riguarda la Santa Famiglia questa fortissima valenza simbolica è stata interpretata nelle varie epoche in base alle diverse sensibilità. Dovremmo anche dire che non sempre la famiglia di Nazareth è stata al centro di questo processo di idealizzazione, ma è passata attraverso varie letture. Vero che ad un certo punto c’è stato uno scollamento tra quanto raccontano i Vangeli e l’operazione che ha portato a trasformarla in una sorta di quadretto devozionale, un santino che non rende giustizia ai protagonisti di questa storia. Quello che è certo è che i Vangeli non avevano alcuna intenzione di idealizzare la famiglia di Nazareth e di indicarcela come modello di riferimento, almeno nel modo in cui l’abbiamo a lungo intesa.
«Il quadretto devozionale che si è affermato
In questo gioco di idealizzazione ci sono alcuni elementi di “non detto” che tradizionalmente, non potendolo spiegare, lasciamo dentro i confini del mistero. Per esempio, come potremmo tradurre in modo più comprensibile per i credenti dei nostri giorni l’espressione “per opera dello Spirito Santo”?
È sbagliato associare immediatamente questa espressione al solo concepimento miracoloso, cioè un concepimento avvenuto senza rapporto sessuale e senza il contributo biologico paterno. È sbagliato perché è riduttivo, perché quando parliamo di “opera dello Spirito Santo” in realtà facciamo riferimento a qualcosa di molto più profondo, di molto più radicale di quanto possa essere un concepimento miracoloso. Fra l’altro la storia di Israele è piena di concepimenti miracolosi e anche nei Vangeli, la nascita fuori dalle regole di Gesù è preceduta da quella altrettanto fuori dalle regole di Giovanni Battista.
Non è facile comprendere questo discorso. Ci aiuti a capire meglio.
Vuol dire che in questo concepimento c’è molto di più di un concepimento miracoloso. Se fosse stato solo un intervento miracoloso di Dio, che va oltre le regole ordinarie della biologia, avremmo un bambino nato in modo straordinario, come Giovanni e tanti altri, non il Figlio di Dio. E non dobbiamo fare l’errore di pensare che proprio il concepimento straordinario fa di Gesù il Figlio di Dio in quanto qui Dio farebbe la parte del padre umano. Qui è lo Spirito (che fra l’altro in ebraico è di genere femminile) a operare l’incarnazione e siamo lontanissimi dall’idea tutta pagana che la divinità insemini una donna (come Zeus faceva regolarmente dando vita a non si sa quanti semidei ed eroi. Dobbiamo pensare l’opera dello Spirito come un’azione di Dio del tutto simile a quella della generazione prima dei tempi. Qui siamo di fronte a qualcosa di ancora più grande del concepimento fuori dalle regole biologiche, anzi questo fatto è del tutto accessorio rispetto alla novità e alla grandezza di quanto accade nell’incarnazione. L’atto dell’incarnazione di Cristo infatti riprende il momento in cui, prima dei tempi, il Figlio è stato generato dal Padre. Ora come allora il Padre mette al mondo (genera) il Figlio riversando su di lui lo Spirito (cioè il suo amore vivificante), solo che ora questo Spirito si riversa su Maria e così il Figlio, da sempre generato come uguale al Padre, ora viene generato come figlio di una donna, come umano, pur senza perdere la propria identità divina di Figlio del Padre. Il Figlio vive d’ora in poi in un altro modo, un’altra modalità di esistenza. La relazione tra il Padre e il Figlio è la stessa di prima, ma in un’altra modalità. Ecco perché quando parliamo di “opera dello Spirito Santo” diciamo, forse senza rendercene conto, qualcosa di molto più grande rispetto a una nascita che pure ha profili di straordinarietà.
Le famiglie religiose che hanno come riferimento la Santa Famiglia indicano una serie di virtù praticate nella casa di Nazareth – umiltà, semplicità, obbedienza, unione, abnegazione reciproca, cortesia, affabilità, ecc – che anche oggi sarebbero modelli di comportamento auspicabili. Ma, in realtà, che conoscenza abbiamo delle dinamiche esistenti nella famiglia a Nazareth per desumerne uno stile di vita valido anche per l’oggi?
Non abbiamo conoscenze dello stile di vita praticato dentro la casa di Nazareth dal punto di vista storico. I Vangeli dell’infanzia, com’è noto, hanno una minima componente storica e una grande componente simbolica. Sono misdrah, cioè un tipo di letteratura che non si preoccupa di ricostruire gli eventi storici ma di proporre un insegnamento. Quindi per noi è difficile desumere quale fosse realmente lo stile di vita di Maria e di Giuseppe. Però possiamo comprendere qual è il messaggio che gli evangelisti hanno voluto trasmetterci e quindi trarre da quelle poche parole qualche indicazione. Per quanto riguarda Giuseppe, per esempio, possiamo vedere come gli evangelisti non si affannano a presentarcelo come l’uomo forte, come il capofamiglia a cui tutti devono rispetto, ma come “uomo giusto” che, proprio perché onora la legge, sa andare al cuore del suo insegnamento senza limitarsi all’osservanza esteriore, cosa che fra l’altro Gesù insegnerà a fare poche pagine più tardi nello stesso Vangelo (quello di Matteo) in cui viene presentato Giuseppe come uomo giusto. Se avesse applicato alla lettera la legge, infatti avrebbe ripudiato pubblicamente Maria e avrebbe avuto il potere di esporla alla lapidazione per adulterio. Giuseppe però è uomo giusto e così rifiuta la violenza contro le donne, ma nemmeno si preoccupa dei suoi diritti di padre e di marito preoccupato solo di custodire tutte le vite che sono in gioco: il bambino, Maria, lui stesso. Siamo di fronte a dei simboli su cui riflettere e che vanno ben oltre la tradizionale immagine del bravo falegname che porta a casa il pane. Non che questo sia un valore disprezzabile, ma Giuseppe è molto di più.
Le devo fare una domanda scomoda, ma se vogliamo presentare una Santa Famiglia “credibile” anche per la nostra postmodernità, non possiamo non indagare anche questi aspetti. O almeno tentiamo. La Chiesa ha sempre parlato del rapporto tra Maria e Giuseppe come “matrimonio verginale”, lasciando intendere che la verginità rappresenti una condizione ideale sulla via della santità. Però il diritto canonico considera ancora scioglibile un matrimonio rato e non consumato. Ci aiuta a comporre questa apparente contraddizione?
Sinceramente vorrei andare oltre la questione. I vangeli non sono interessati alla vita sessuale di Maria e di Giuseppe e quindi non ci dicono nulla al riguardo. Possiamo concludere quindi che questo non sia un elemento essenziale per la nostra salvezza? Sì, infatti la Dei Verbum 12 ci dice che nella Scrittura noi troviamo quella verità che è per la nostra salvezza. I padri conciliari si riferiscono a come dobbiamo leggere la Bibbia, a quale verità dobbiamo cercare, ma vale anche per discernere l’importanza degli elementi di fede che troviamo nella tradizione. I Vangeli non sono interessati alla vita sessuale di Maria e di Giuseppe. Io mi limiterei a constatare questo.
Eppure su questi aspetti la teologia ha discusso per secoli…
Ma certo, la sessualità è un problema nostro, legato a una dimensione soprattutto culturale. Non scopriamo oggi che la Chiesa dei primi secoli era attraversata anche, ma non solo, da un atteggiamento sessuofobico. E che, dal III secolo in poi, l’ideale cristiano diventa il monachesimo. Per il monaco, il sesso è il grande nemico sulla via della santificazione. È una posizione questa che abbiamo pagato, e che in parte continuiamo a pagare, in termini di mancata comprensione di determinati fenomeni umani, ma anche sociali e culturali. Associando la sessualità al peccato, l’abbiamo confinata per troppo secoli al solo ambito della riproduzione. Ma i Vangeli non si mostrano preoccupati per la sessualità. Sono altri gli aspetti che preoccupano gli evangelisti, per esempio il denaro o il potere. Noi invece, per tutta una serie di ragioni che qui sarebbe lungo approfondire, abbiamo posto grande attenzione alla sessualità ma in senso restrittivo, facendo diventare santo tutto ciò che la esclude. La Chiesa per fortuna ha capito da tempo che questo atteggiamento non solo non funziona più, ma è proprio sbagliato. E ci sono pagine bellissime del magistero che raccontano l’erotismo “come un dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi” (AL 152). Dopo tanti secoli, abbiamo insomma preso consapevolezza del fatto che la sessualità rende gloria a Dio così com’è, perché costruisce l’intimità, il piacere, la vita. Tutte cose buone e belle. Quindi è meglio che ci sia. E che donne e uomini possano viverla nella libertà, nella verità e nella gioia, senza sentirsi colpevolizzati. Ma – ripeto - da questo punto di vista, se guardiamo alla vita di Maria e Giuseppe secondo quanto narrato dai racconti dell’infanzia, non possiamo davvero dire altro.
La storia della famiglia di Nazareth come ci viene narrata dai Vangeli, è anche una storia di “non detti”. Per esempio, non si dice nulla delle rispettive famiglie di origine. È possibile che in una società fortemente segnata dal patriarcato i due giovani, di fronte a circostanze così avverse, non abbiano consultato i rispettivi genitori? I “miei, i “tuoi” in questo racconto non compaiono. Come se lo spiega?
Ma se non compaiono non vuol dire che non ci fossero. Anzi. Le famiglie ebree di quel tempo erano clan patriarcali dove si viveva tutti insieme. Sicuramente anche la famiglia di Nazareth era strutturata così. I Vangeli non sono però interessati ad entrare in questi dettagli perché i racconti dei Vangeli dell’infanzia servono ad altro, come detto, non a compilare la storia dei rapporti parentali di Gesù. Eppure, questi testi che procedono per immagini hanno una fortissima valenza controcorrente. Non sono testi che si inseriscono in una tradizione ma che segnano una rottura. Il gesto di Maria che decide da sola, che prende sulle spalle una responsabilità enorme senza consultare il padre, o il promesso sposo, o altri maschi è una scelta che oggi potremmo definire segnata da una forte valenza femminista, cioè segnata dall’autodeterminazione personale, dall’emancipazione, dalla libertà e dalla consapevolezza di sé, dei propri desideri e delle proprie responsabilità. L’atteggiamento di lei non è affatto scontato: la mamma di Sansone, per esempio, di fronte al messaggero celeste che le annuncia il ruolo straordinario del figlio, va a chiamare il marito. Maria invece è libera, è attiva, è una donna totalmente emancipata. Richiama in questo senso la decisione di Deborah o di Giaele e Giuditta che si fanno salvatrici del popolo o quella di Rut e di Tamar che trovano il modo di sottrarsi alla sterilità. E anticipa quello che farà Elisabetta prendendo la parola in casa sua, al posto del marito reso muto dall’incredulità, per dare al bambino il nome che era stato stabilito dall’angelo, dimostrando di aver ben compreso l’opera di Dio in atto.
E tutto questo cosa c’entra con la verginità? Eppure, l’evangelista sottolinea che si tratta di una vergine…
In questo caso la questione della verginità non fa riferimento a un simbolo di maggiore o minore purezza, ma al fatto che lei, secondo le tradizioni dell’epoca, pur essendo giuridicamente già sposata con Giuseppe, non era però ancora entrata nella casa del marito e quindi non c’era stata quella che, con termine orribile, veniva intesa come la “presa di possesso” dell’uomo verso la donna. Maria non ha ancora “conosciuto uomo”, cioè secondo la logica, pur distorta, del patriarcato non è ancora posseduta da nessuno, e quindi può disporre di sé stessa in modo autonomo, è libera di decidere. E noi sappiamo che quella sua decisione cambia la storia.
Ma c’è un’altra sparizione su cui si sono a lungo interrogati gli esegeti. Come mai Giuseppe a un certo punto esce di scena. Cosa può essere capitato? Sarà morto? Non crede che anche questo elemento sia un inciampo nella fatica di considerare quella di Nazareth un punto di riferimento? Come possiamo idealizzare una famiglia in cui, a un certo punto, il padre viene “dimenticato”?
Forse, molto semplicemente, è morto. Quando Gesù inizia la sua predicazione ha 30 anni, quindi è un uomo adulto, maturo potremmo dire per una società in cui l’età media non superava i 40 anni. Quindi il fatto che Giuseppe fosse morto nel momento in cui Gesù sceglie la vita pubblica, è ipotesi tutt’altro che improbabile. C’è anche da dire che Gesù, soprattutto all’inizio della predicazione ha, nei confronti della sua famiglia, un rapporto che potremmo definire conflittuale. Lui, che era il primogenito, non si comporta da tale, non si occupa delle cose della famiglia. Si tira fuori e loro – il clan - lo vanno a cercare. Ma le parole di Gesù sono spiazzanti. Parla di abbandonare padri, campi, beni per avere il centuplo. Sconvolge le gerarchie del patriarcato. Poi la famiglia d’origine verrà ritrovata, ma insieme ai discepoli, nel Cenacolo della Pentecoste, quando su tutti scenderà lo Spirito.
Se, come abbiamo detto, la famiglia i Nazareth non è un ideale da imitare, perché in sé stessa unica e inimitabile, come far tesoro della sua lezione di complessità e di umanizzazione? Con tutti i guai che ha dovuto affrontare – certamente anche fatiche, errori, drammi – è riuscita a tenere il timone diritto e a ripartire ogni volta. Potrebbe essere un’indicazione valida anche per le nostre famiglie “non sante”?
C’è una grande distanza tra le nostre vite e quella dei protagonisti dei Vangeli, distanza cronologica, culturale, relazionale. Le persone raccontate nei Vangeli dell’infanzia, come detto, assumono un significato soprattutto simbolico. Abbiamo un padre, Giuseppe, l’uomo giusto, che onora la logica di Dio sconvolgendo le convenzioni dell’epoca. È interessante che a farlo sia un maschio, un capofamiglia, perché sposta il concetto di autorevolezza dal dettato della legge a quello del rispetto, dell’amore, della custodia. Proprio come Dio che custodisce la vita in tutte le sue forme., E per madre abbiamo una donna libera come Maria, una profetessa in dialogo con Dio. Tutti i temi che Luca svilupperà, vengono anticipati nel Magnificat. Insomma, siamo di fronte a due figure che, certamente costruite in modo simbolico, ci provocano perché incarnano due modelli di umanità straordinaria e originale. Altro che i santini, altro che le immaginette devozionali a cui troppo spesso sono stati ridotti. Qui siamo di fronte a una coppia di sovversivi per amore, due alternativi il cui profilo riesce a parlare con identica efficacia alle persone e alle famiglie di tutte le epoche. Ma dobbiamo raccontarli per quelli che veramente sono.
Chi è Simona Segoloni Ruta
Sposata, tre figli e una figlia, è docente presso il Pontificio Istituto teologico “Giovanni Paolo II” per le scienze del matrimonio e della famiglia. Le sue principali aree di ricerca sono l’ecclesiologia (con particolare attenzione alla sinodalità, alla questione femminile e alla famiglia), la mariologia, la trinitaria, il metodo teologico, la teologia di genere. Tra i suoi libri: Madri, Messaggero (in uscita), Carne di donna, ITL, 2021; Gesù maschile singolare, EDB, 2020; L’amore viscerale. Maria nel grembo di Dio, EDB, Bologna 2017; Tutta colpa del Vangelo. Se i cristiani si scoprono femministi, Cittadella Editrice, 2015.