Francesco Borgomeo, imprenditore che ha rilevato la ex Gkn
«La pietra scarta dai costruttori è divenuta testata d’angolo». Francesco Borgomeo, 54 anni, romano, ama ripetere questa frase dei Vangeli e del Salmo 118 quando prende a raccontare le sue storie di impresa, di riconversioni industriali e di salvatore di aziende (ultima in ordine di tempo l’ex Gkn di Firenze) «ma io mi definisco un imprenditore secondo lo spirito del tempo. E oggi più che mai fare impresa significa doversi assumere una responsabilità speciale».
E quel passo evangelico Borgomeo l’ha ripreso dando al suo gruppo industriale il nome 'Saxa Gres' (Saxa in latino vuol dire per l’appunto 'pietra'), con un richiamo anche ai primi salvataggi aziendali nei quali ha messo nome e faccia, ovvero alla ex Marazzi di Anagni e alla ex Ideal Standard di Roccasecca (e segnatevi bene il nome di quest’altro paese della Ciociaria perché è il luogo natale di quel Tommaso d’Aquino alla cui formazione, con tanto di studi e laurea in Filosofia alla Gregoriana, Borgomeo si richiama continuamente) dove da ceramiche e sanitari ha iniziato a produrre anche pietre e sampietrini, nel segno di un’economia circolare che è un altro dei punti di partenza e al tempo stesso di approdo dell’imprenditore. «Però, quanto è difficile... Ad Anagni, ad esempio, vorrei produrre energia a basso costo e ho provato a ragionare di economia circolare producendo gas dai materiali di scarto, con un biodigestore. Peccato però che per un iter autorizzativo che prevede 180 giorni, sono già passati 5 anni e sto ancora aspettando». Insomma, fare imprenditoria oggi non è la cosa più semplice del mondo: «Il nostro diventa sempre più un ruolo specifico, laddove ci sono carenze in termini di assunzioni di responsabilità da parte di altri soggetti che avrebbero dovuto e potuto fare la loro parte. Ci sono situazioni e processi molto complessi ma privi di governo. Il caso dell’automotive è uno di questi: c’è una transizione che porta alla mobilità sostenibile, è un momento importante, di svolta, ma va governato bene».
Anche qui Borgomeo prova a fare la sua parte, da presidente di Unindustria del Lazio meridionale: «Le preoccupazioni per la Stellantis di Cassino e per l’indotto sono forti, ma lì stiamo facendo un grosso lavoro; abbiamo preso tutte le aziende della filiera e abbiamo detto loro: dobbiamo muoverci noi e non restare in attesa, perché gli eventi vanno anticipati e governati. Così ci stiamo muovendo su un accordo di programma con 100 milioni di investimenti e la Regione Lazio ci sta dando una bella mano».
Ma altri problemi sono all’ordine del giorno, come l’aumento dell’energia e del gas, tanto che in alcune aziende del gruppo (ne fanno parte anche la ex Tagina in Umbria, la ex Nalco a Cisterna vicino Roma e la ex Cbs nel Modenese) si è visto costretto a ricorrere alla cassa integrazione: «Lo denunciai già a settembre, inascoltato. E ora faccio un’altra previsione e vediamo se mi daranno retta: questa estate la Francia ci scavalcherà al secondo posto come Paese manifatturiero, perché lì non stanno vivendo la stessa nostra crisi energetica. Qui invece spegniamo i forni e tutta la marginalità viene drenata dai costi. E sta venendo giù anche tutto l’automotive perché nessuno sta presidiando questa filiera che pure ha segnato lo sviluppo dell’Italia». Proprio quell’automotive che Borgomeo ha iniziato a conoscere più da vicino anche in virtù del suo intervento alla Gkn. A proposito, come procedono le cose a Campi Bisenzio? «Abbiamo messo in sicurezza lo stabilimento e fatto un accordo importante con governo e sindacati. Ora stiamo andando verso una riconversione, a partire dalla meccanica farmaceutica, settore che sta conoscendo una grande spinta».
Anche per i 400 lavoratori fiorentini sembra dunque vicino quello che è il traguardo che Borgomeo ha già raggiunto in altre fabbriche e che descrive così, con trasporto nelle parole e il viso che s’illumina: «Vedere le macchine che ripartono e negli occhi dei lavoratori quella certezza del futuro, ogni volta mi richiama una traversata del deserto, quando si vede da lontano che si sta arrivando e allora c’è tanta emozione da parte di tutti. Perché ogni fabbrica è una comunità, si vive insieme e si condividono i successi come le difficoltà. Serve entusiasmo e la capacità di trasformare la paura e la rabbia di chi ha perso il lavoro, riorientarla verso un percorso di speranza, mettere la persona al centro». È difficile farlo oggi? «Assolutamente no, perché se non la si mette al centro non si costruisce qualcosa di solido. Penso che alla fine la finanza può essere anche neutra, non necessariamente cattiva, ma dipende da come la si governa. Ogni volta che mi trovo davanti ad una fabbrica scartata, proprio come la pietra del Vangelo, c’è una spinta fortissima a voler dimostrare che invece si può fare ancora del bene e creare valore, sia economico che sociale».