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Un evento per celebrare un traguardo significativo, gli 80 anni dalla fondazione, con un ospite d’eccezione: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Oggi alle 10:30 all’Auditorium della Conciliazione, a Roma, le Acli hanno organizzato lo spettacolo commemorativo intitolato “80 Storia”. Attraverso letture sceniche, interviste, proiezioni video e testimonianze dal vivo, l'evento ripercorrerà le tappe fondamentali del cammino delle Acli, dal loro impegno nella costruzione della Repubblica italiana fino agli interventi sociali più recenti.
Lo spettacolo sarà articolato in atti tematici, come “Dittatura o Parlamento? Cammino per la libertà“, “Costituzione: amore a prima firma” e “Santi minori”, che esprimeranno le lotte e le conquiste che hanno definito il ruolo delle Acli in Italia e nel mondo. Il presidente Mattarella onorerà le celebrazioni con la sua presenza, riconoscendo il contributo delle Acli alla crescita del Paese; Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, porterà il saluto ufficiale dell'associazione; la professoressa Marialuisa Sergio, docente di Storia contemporanea all'Università Roma Tre, offrirà una prospettiva storica sulle Acli e sui valori che ne hanno guidato il percorso. Seguiranno le testimonianze di Sara Campiglio, tutor Enaip di Varese, impegnata nella formazione dei giovani; Silvia Maraone, cooperatrice di Ipsia-Acli, attiva nei progetti di sostegno ai migranti sulla rotta balcanica; Claudio Cavaliere, ex minatore emigrato in Belgio, che rappresenta la storia dell'emigrazione italiana e del lavoro all'estero. Dal pomeriggio di venerdì fino a domenica all’hotel Ergife a Roma si terrà il 27esimo congresso nazionale delle Acli.
LA DIRETTA DELL'EVENTO DELLE ACLI SU PLAY2000
ANSA
Come ci si sente a parlare di pace mentre lanciano i missili?
Il tema della pace è urgente e non è questione di bei sentimenti - ci risponde il presidente delle Acli Emiliano Manfredonia che oggi aprirà il 27° congresso, dedicato a “Il coraggio della pace” -. Se non se ne parla succede come è successo. Una scellerata invasione dell’Ucraina – noi abbiamo chiaro chi sia la vittima – ma alimentando solo il tema delle armi ci si sente autorizzati a creare conflitti su conflitti senza ricorrere alla mediazione e alla diplomazia. Parlare di pace è l’unico modo per farla.
Ma non basta parlarne.
Sono d’accordo. Per parlarne c’è bisogno che qualcuno imponga che la si faccia. Che apra dei tavoli di diplomazia che non creeranno una pace giusta in pochi giorni. Dopo una guerra, la pace la si ricostruisce lentamente. Ma continuare a sparare porta a una guerra senza fine. Oggi sembra impossibile questo coraggio, lo so: due anni fa se parlavamo di pace eravamo con Putin mentre per noi il pacifismo è un valore profondo, che vogliamo tutelare oggi più di prima.
Queste idee sono diffuse anche alla base delle Acli?
Il congresso è iniziato qualche mese fa e la scelta del tema è stata politica. Abbiamo fatto 1.200 assemblee di circolo e 120 congressi provinciali e regionali: dal parroco al vescovo, dal singolo militante al presidente di regione si sono sintonizzati facilmente sull’esigenza di aver più coraggio per la pace. Il congresso non è un momento celebrativo ma un percorso lungo che ci ha mutati, convincendoci che marce e solidarietà hanno un senso, sono sollecitazioni che cambiano il pensiero nostro e della politica. Sì, sono idee molto diffuse.
Anche tra chi decide?
Certo e lo prova il fatto che al congresso verrà il ministro degli Esteri Antonio Tajani che porterà la voce italiana nei consessi dove la pace si può fare veramente. Ci saranno segretari di partito, Maurizio Landini e il delegato della Cisl, tante associazioni cattoliche, come i Focolari e il Mcl. Il cardinale Matteo Zuppi e altri ecclesiastici ci onoreranno della loro presenza e scriveranno la storia del congresso insieme a noi, anche perché in questi quattro anni siamo stati sinodali, cioè abbiamo lavorato in rete con tutti loro.
Pensa che la nuova presidenza Trump favorirà la pace?
Mah. È difficile canalizzare le idee di Trump. Le persone che sta scegliendo non sono dei pacifisti, ma la diplomazia americana c’era prima di lui e ci sarà dopo. Aggiungiamoci che gli Usa in questi due anni non hanno giocato a favore della pace. C’è stata una sovraesposizione della Nato che ha tacitato l’Europa, la quale, dal canto suo, non cita mai la parola “pace” negli accordi degli ultimi anni. Ricordo tuttavia che Paolo VI diceva che il diritto per quanto non sia applicato ha forza in sé. Bisognerebbe ripartire dunque dal riconoscimento di una serie di diritti, riconoscerli platealmente nel dibattuto, perché oggi vige solo la legge del più forte, in una schizofrenia geopolitica.
Come valuta la politica del governo italiano su questo tema?
Il governo purtroppo è timido e non spicca per iniziativa rispetto a questi temi: anche l’ultimo accordo di pace in Libano ci ha visto esclusi, mentre nel 2006 siamo stati i primi a inviare un corpo di interposizione. Perché non siamo stati chiamati a questo tavolo?
Cosa pensa guardando il telegiornale quando scorrono le immagini di Gaza?
Che la reazione di Gerusalemme è spropositata e disumana.
Passiamo ai problemi di casa nostra. L’inflazione cala, ma la povertà no. Come mai?
C’è una povertà materiale che si sta espandendo, ma anche una povertà di opportunità per le famiglie. Continua la politica dei bonus che non risolvono il problema. Da quando non c’è più il reddito di cittadinanza la povertà non è diminuita e gli strumenti sostitutivi non sostituiscono un bel niente. L’inflazione ha fatto calare le retribuzioni in modo reale e il lavoro che si crea è tendenzialmente povero. Una ricerca recente che si chiama “Poi vediamo” raccoglie denunce di sfruttamento sul lavoro e ci sono alcuni che hanno detto di esser pagati con buoni di Amazon.
Perché vi piace tanto il reddito di cittadinanza?
Rimpiangiamo di non avere una struttura universale che possa combattere la povertà. A esser precisi, noi avevamo studiato il reddito di inclusione perché il reddito di cittadinanza era troppo orientato al lavoro e al reddito; non teneva conto di altre esigenze, dalla casa alle dipendenze… Il reddito di inclusione presupponeva un’alleanza per accompagnare la persona fuori dalla povertà. Quello strumento si sarebbe autoeliminato. Oggi non si prevede questo accompagnamento: gli strumenti del governo non sono per tutti.
Avete una rete di Caf e patronati che tasta il polso alla società italiana. A che punto è la giustizia sociale?
La società italiana è fortemente diseguale anche se è un Paese progredito. A noi pare un Paese stanco. Milioni di persone vengono nei nostri uffici e tanti ragazzi che studiano nelle nostre scuole professionali: chiedono risposte che non hanno: il nostro è un welfare calante, le persone cercano meno le risposte e le istituzioni hanno meno risorse. Noi associazioni siamo ammortizzatori sociali ma non si può fare tutto: alcuni vengono convinti di avere diritti che non ottengono e la delusione monta.
Siete un’associazione di lavoratori. Chiedete un salario equo per tutti?
Abbiamo lanciato la proposta di un salario costituzionale, che dia la possibilità di una vita dignitosa. Non parliamo della cifra oraria. Abbiamo un approccio diverso. Da un lato abbiamo messo tutti i contratti registrati al Cnel e dall’altro abbiamo messo tutti i prodotti e servizi: abbiamo chiesto ai sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro di dialogare per derivare da queste “certezze” il costo medio del lavoro, fare cioè una operazione più sartoriale e quindi più reale, in quanto fissare una cifra per legge uguale per tutti non è realistico.
Cosa si aspetta realmente da questo congresso?
Di uscire tutti con uno sguardo diverso. Di speranza. Certo, oggi ci vuole coraggio per sperare, e non solo nella pace.