sabato 19 ottobre 2024
Le rilevazioni dell'Osservatorio Purpose in Action del PoliMi mostrano che solo il 32% delle imprese ha elabbìorato il proprio "purpose", l'essenza della propria attività nella società
Alle imprese serve uno scopo. Troppe non lo cercano

cc feuvels via Pexels

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Perché un’azienda esiste? Qual è il suo scopo, oltre al profitto, e il contributo che può offrire alla società? Interrogativi cruciali per lo sviluppo di una realtà imprenditoriale, su cui è necessario riflettere per definirne valori e identità. In tanti dichiarano di riconoscerne l’importanza, ma molti meno si decidono a mettere nero su bianco il proprio cosiddetto purpose.

Lo svela una ricerca condotta dall’Osservatorio Purpose in Action e presentata in anteprima nel corso di un incontro organizzato da Polimi Graduate School of Management, l’istituto in capo al Politecnico di Milano, di cui fa parte. L’evento ha anticipato di un giorno il Purpose Day del 18 ottobre, appuntamento annuale del Politecnico durante il quale manager, istituzioni e accademici si riuniscono al Teatro Manzoni di Milano per discutere del tema. Secondo i dati emersi, il 51% dei leader aziendali italiani riconosce l’impatto positivo che avere un’idea chiara riguardo a motivazioni e ambizioni può generare in termini di opportunità e produttività dei dipendenti, ma solo il 32% delle società prese in esame lo ha formalizzato ufficialmente.

Un divario giustificato da diversi fattori, tra i quali l’età spesso avanzata dei proprietari di imprese nel nostro Paese, che non ci pensano oppure credono di non averne bisogno soltanto perché sentono di averla interiorizzata. Elaborarla poi richiede una riflessione più complessa della classica strategia di marketing «Bisogna trovare una concordanza tra il fine ultimo dei vertici e quello del personale. E dichiarandola ci si espone» spiega il professor Josip Kotlar, Associate Dean for Sustainability & Impact della Scuola. Tanto che molti preferiscono fingere, limitandosi a una forma di “purpose washing”.

L’indagine, il cui report completo verrà pubblicato a fine novembre, è stata realizzata in collaborazione con Bva Doxa, OpenKnowledge su un campione di 785 manager aziendali, sfruttando gli stakeholder con cui il Politecnico già collabora. L’ateneo, con la sua Scuola, investe dal 2020 sul tema della formazione manageriale, dopo essersi occupata anche del proprio purpose: «Vogliamo usare l’educazione per contribuire al miglioramento della società attraverso le società e chi le guida- continua Kotlar-. Il nostro non vuole essere un approccio dogmatico, bensì il tentativo di ispirare altri soggetti».

Tre i principali temi: diffusione, chiarezza e formalizzazione del purpose, applicazione di quest’ultimo e impatto. Affrontati tramite una serie di domande chiave su stato, espressione e misurazione dello stesso, poste a tre diversi profili rispondenti. Leader aziendali, top manager e responsabili di primo livello (che hanno una relazione diretta con i lavoratori) di imprese medio-grandi, ossia comprese tra i 20 e 250 dipendenti e oltre i 250. Il 62% degli intervistati dichiara di saper enunciare il purpose in una forma chiara, soprattutto tra i vertici. Ma la platea di chi lo ha fatto si riduce al fatidico 32%, che diventa il 49% nelle grandi realtà quotate dove la necessità di sapersi comunicare è massima.

Quanto ai momenti dedicati alla riflessione sulla questione, solo il 41% dei manager in aziende italiane dichiara di averli ideati o di avervi partecipato. Volontariato, workshop e webinar le iniziative più gettonate in tal senso. Il purpose è anche un concetto astratto da particolari metodi di misurazione. Eppure, su questo fronte, il 17% degli intervistati dice di averne quantificato l’impatto con indicatori specifici, come la soddisfazione dei clienti e la sostenibilità.

In quali ambiti crea più benefici? Secondo il 51% dei manager, al centro c’è proprio la motivazione dei dipendenti. Seguono la relazione con il pubblico, la reputazione e il raggiungimento degli obiettivi. «Il campione selezionato per l’edizione di quest’anno è solido e questo ci ha permesso di ottenere più dettagli. Anche se non è stato semplice convincere molti top manager a rispondere. La sfida per il futuro è arrivare a coinvolgere nel sondaggio anche la categoria dei lavoratori» ha ricordato riguardo alle modalità d’indagine la responsabile della ricerca per Doxa Cristina Liverani.

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