«L’azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell’accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri». È arrivato a metà giornata il commento ufficiale di Fiat ai risultati del voto di martedì a Pomigliano, dopo che per tutta la mattinata si inseguivano voci sulla «delusione» del Lingotto. Al punto che potesse rinunciare e avviare il cosiddetto piano B del ripiegamento all’estero. Perché a Pomigliano c’è stata una maggioranza netta (2.888 voti per il sì, il 62%, al termine dello scrutinio dei 4.642 voti, con 1.673 no, 59 schede nulle e 22 bianche) ma non il plebiscito, o perlomeno le «larghe intese» che si auspicava l’ad del Lingotto, Sergio Marchionne. Il manager era stato chiaro dopo l’accordo separato con Fim Cisl, Uilm, Ugl e Fismic (e il no di Fiom): «Deve esserci un ampio consenso». Senza mettere però asticelle numeriche. L’impressione era che Marchionne – per confermare l’investimento Fiat di 700 milioni e portare la produzione della Nuova Panda nello stabilimento campano – volesse percentuali molto alte. Così non è stato. Il 36% di no, ben oltre la «quota» di Fiom, è il segnale di un malessere fra i lavoratori di Pomigliano, nonostante la fiducia e le assicurazioni che danno Fim Cisl, Uilm, Ugl e Fismic e il sostegno del governo, con il ministro Maurizio Sacconi («Vittoria inequivocabile»). L’irritazione del Lingotto c’è. E i timori di nuove nubi sul futuro dello stabilimento campano e del gruppo in Italia sono arrivati nei mercati: il titolo del Lingotto in Borsa ha perso infatti quasi il 2%, con un andamento peggiore del comparto automobilistico europeo (-0,90%).Il referendum non è mai stato considerato dalla Fiat il momento conclusivo della partita Pomigliano, visto che neanche la valanga di «sì», sarebbe stata di per sé una certezza. La Fiom ha sempre considerato illegittimo il voto e ha detto che in ogni caso non avrebbe firmato l’accordo. Un atteggiamento ancora più ostile di quanto Marchionne avesse previsto e, per questo, la Fiat ha valutato la possibilità di blindare l’intesa qualora il consenso fosse stato molto alto. Di fronte a un 80% di voti favorevoli il via libera agli investimenti sarebbe stato nei fatti automatico. Il numero di «no» così elevato potrebbe invece a questo punto cambiare le carte in tavola e spingere il Lingotto a considerare altre ipotesi. Scongiurate ovviamente da tutto il mondo sindacale e politico.Così – mentre in mattinata si susseguivano le dichiarazioni dei sindacati che dopo il sì «richiamano» Fiat alla responsabilità e a dare corso all’accordo «senza se e senza ma» – è arrivata la nota ufficiale del Lingotto a stoppare voci incontrollate. Rimarcando una nuova disponibilità a trattare «con chi ha firmato l’accordo», ma con puntualizzazioni che lasciano il campo aperto a qualunque soluzione.Se Fiat, infatti, da un lato «apprezza il comportamento delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori che hanno compreso e condiviso l’impegno e il significato dell’iniziativa di Fiat Group Automobiles per dare prospettive allo stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano», dall’altra «ha preso atto della impossibilità di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano». Punto. Poi Marchionne è partito per gli Stati Uniti dove dovrebbe rimanere alcuni giorni per occuparsi delle questioni Chrysler. Ma il manager porta con sé il cerino acceso di Pomigliano. Perché Marchionne si trova indubbiamente di fronte a un bivio. Il 62% di «sì» a Pomigliano non lo ha aiutato. Non ha risolto la questione. Quella sottile, silenziosa "protesta" di una parte dei lavoratori di Pomigliano nel segreto dell’urna, ha rimesso in discussione tutto. Forse c’è stato un limite che è stato superato da parte di tutti. E così si ricomincia a trattare. Punto. E a capo.In ambienti sindacali si fa notare che nel comunicato della Fiat sull’esito del referendum a Pomigliano non si parla specificamente del progetto per la futura Panda, che non viene citata, ma più genericamente della «realizzazione di progetti futuri». Così se la scelta sarà quella di andare avanti per la Panda, tra le ipotesi che l’azienda continua a valutare ci sarebbe quella di una newco, che riassumerebbe con un nuovo contratto i singoli lavoratori disponibili ad accettare le condizioni poste dall’accordo. Il modello Alitalia, insomma. Come non è escluso che si valuti la possibilità di produrre altri modelli, che richiederebbero una diversa organizzazione del lavoro. Una sorta di piano «D», con l’azzardo di portare la Panda addirittura in Turchia. Per chiudere la partita di Pomigliano, insomma, saranno necessari i tempi supplementari. E altri tavoli. Sperando che non si arrivi alla roulette russa dei rigori. Di rigore è bastato il referendum di martedì.