Dodici milioni di persone ogni mese ascoltano dei podcast, per quasi quattro ore settimanali di media a persona, eppure questo mercato raccoglie meno di 10 milioni di euro di pubblicità. In altre parole, chi si occupa di vendere e acquistare la pubblicità sui podcast sembra non sia ancora stato capace di sfruttare e capitalizzare il potenziale mostrato a livello di dati di audience contenuti e diffusi dall’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano.
Il podcast sta alla radio come le piattaforme di streaming stanno alla tv tradizionale. L’ascoltatore è l’assoluto protagonista, decide cosa scaricare e ascoltare e il mercato dei podcast si colloca in quella “rivoluzione on demand” che ha caratterizzato anche la musica, i film e le serie tv. La natura on demand del podcast, secondo il noto podcaster italiano Jonathan Zenti, ha fatto emergere tutti quei programmi narrativi di nicchia che si basavano su una storia, con qualcosa da raccontare, e con un alto livello di registrazione e di montaggio. Per dirla con il produttore di podcast Carlo Annesse, fondatore di Piano P, «prima ancora di scrivere o di stampare, le persone usavano la voce per condividere, educare, intrattenere. E questo permette sia a chi narra sia a chi ascolta di usare la propria immaginazione, senza bisogno di un libro o di un giornale da seguire, né di uno schermo per comprendere una storia. Il podcast è tutto questo, ma realizzato con gli strumenti digitali più avanzati». La sua diffusione è iniziata nel 2004 negli Stati Uniti e dopo dieci anni oltreoceano è arrivato anche il caso editoriale che ha reso il podcasting un fenomeno di massa: Serial, un podcast di giornalismo investigativo che è stato in grado di far riaprire alcuni casi giudiziari negli Usa e al tempo stesso è stato paragonato per la qualità della scrittura e il ritmo della narrazione a grandi serie tv come House of cards e True detective.
Dopo dieci anni di grande crescita a livello di numeri e di qualità dei contenuti, lo scorso settembre Spotify, il servizio di musica in streaming più famoso al mondo e leader del settore podcast in diversi mercati, tra cui l’Italia, ha licenziato 200 persone, compresi i membri dello staff della divisione podcast, e ha fuso le sue unità podcast, Gimlet e Parcast, come parte della sua strategia di riduzione dei costi. Al tempo stesso Spotify ha dichiarato di avere più di 100 milioni di ascoltatori regolari di podcast, dieci volte in più rispetto al 2019, e ha previsto che la sua attività di podcast raggiungerà il pareggio già quest’anno. Il miglioramento della redditività dei podcast di Spotify è stato indubbiamente anche il riflesso degli sforzi dell’azienda per ridurre i costi nella divisione podcast. Nel complesso, le spese operative dell’azienda negli ultimi tre mesi del 2023 sono diminuite del 13% su base annua. Questa svolta significa che Spotify cercherà di imitare il “modello YouTube”, basato sul lavoro dei creator e sulla vendita della pubblicità, lasciandosi alle spalle le produzioni esclusive e le grandi acquisizioni degli anni passati, decisamente più costose per l’azienda.
In Italia inizialmente il podcasting è stato utilizzato dalle radio semplicemente come tecnologia per rendere disponibili i programmi tradizionali anche on demand al di fuori degli orari di messa in onda; ancora oggi in tanti sono dubbiosi sulla potenzialità e il valore di questo strumento, tanto da chiedersi se i podcast vengano realmente ascoltati. I dati a disposizione sono positivi: nel 2023 nel nostro Paese hanno ascoltato podcast 11,9 milioni di persone, raggiungendo quota 39% tra i 16-60enni e in crescita rispetto al 36% dell’anno precedente. Quella dei podcast non è una crescita di un pubblico mainstream, secondo l’indagine Ipsos Digital Audio Survey: tra gli ascoltatori ci sono soprattutto under 35 (39%) e in generale persone che sono diventate difficili da raggiungere dai media tradizionali. Questo spiegherebbe in parte l’investimento da parte delle aziende attraverso i cosiddetti branded podcast, vale a dire serie direttamente sponsorizzate da aziende, banche, fondazioni che pure hanno perso qualcosa rispetto a due anni fa: nel 2023 il 61% degli italiani ha ascoltato un branded podcast, un dato in calo rispetto al 74% del 2022: una decrescita dovuta all’evoluzione dell’audience, sempre più esigente, e all’aumento della quantità di proposte, che impone un’attenzione maggiore alla qualità dei contenuti e alle strategie di distribuzione e amplificazione adottate. Tra i tanti dati emersi dall’OBE – Osservatorio Branded Entertainment, quello che più colpisce è un dato critico: sebbene sia sempre molto forte l’impatto che il branded podcast ha sulla percezione di brand, il 41% degli ascoltatori li trova troppo commerciali, e il 51% ne ascolterebbe di più se fossero più interessanti.
Considerando anche i numeri, riportati all’inizio dell’Osservatorio Digital Content del Politecnico di Milano e il fatto che non esista un’offerta a pagamento esclusiva per fruire solo di podcast – di fatto questi ultimi si trovano all’interno di abbonamenti più ampi come quelli offerti dagli editori ai loro lettori o nelle proposte Premium di alcune piattaforme come Spotify, Audible o Storytel – resta apertissima la domanda se sia possibile e come monetizzare solo l’ascolto dei podcast, quelle 4 ore settimanali dedicate da 12 milioni di italiani all'ascolto della voce e al potere dell'immaginazione.