Non esistono soltanto le aziende costruite sui mercati finanziari o le imprese fondate su progetti industriali aggressivi. C’è anche un’altra economia "responsabile", che in questi anni ha resistito alla crisi e ora si candida a strumento valido per avviare la fase di ripresa del Paese. Si tratta dell’Economia di Comunione, nata oltre vent’anni fa da un’idea di Chiara Lubich, rimasta colpita dalle condizioni di povertà in cui versano le favelas brasiliane. Oggi le aziende che ne fanno parte vedono il profitto non come un fine, ma come un mezzo. I protagonisti di un’economia basata sulla cultura del «dare» si sono dati appuntamento, in questi giorni, a Loppiano, nella cittadella internazionale del movimento dei Focolari nel comune di Incisa Valdarno (Firenze), per la terza edizione di «LoppianoLab». All’interno del Polo Lionello Bonfanti sono presenti economisti, imprenditori, giovani, lavoratori e cittadini comuni. Si incontrano per «fare rete» e partecipano a laboratori e workshop sulle questioni più urgenti: dalla disoccupazione all’emergenza educativa, dalla legalità all’ambiente.Chi pensa che queste realtà – che scelgono di destinare due terzi degli utili nella formazione e ai poveri – rappresentino una goccia nel mare, è fuori strada: «Questo modello – spiega Luigino Bruni, economista dell’Università di Milano-Bicocca e coordinatore internazionale del progetto di Economia di Comunione – non è un bonsai, ma un seme. Significa che non resterà piccolo per sempre, ma potrà continuare a crescere e diventare un albero ricco di frutti». Finora, a livello mondiale, hanno già sposato questa idea di economia circa 1.000 imprese (150 in Italia) e nell’ultimo anno sono stati attivati molti progetti per creare una nuova generazione di economisti, studiosi e imprenditori. «Durante questa edizione abbiamo annunciato la nascita dell’Aipec, l’Associazione imprenditori per l’economia di comunione – prosegue Bruni – per combattere lo scandalo della povertà». Il primo obiettivo dell’Expo di Loppiano è quello di risvegliare le risorse del Paese, offrendo opportunità occupazionali a chi oggi vede un punto interrogativo sul presente e sul futuro professionale: «Il lavoro dei nostri ragazzi passa per il bene comune – sostiene Bruni –. In futuro sarà più agevole creare occupazione nelle imprese che puntano su innovazione, energie alternative, servizi, cura e assistenza, piuttosto che nelle grandi aziende».Coniugare economia e reciprocità è l’obiettivo dell’«incubatore per le imprese», attivo al Polo Bonfanti dal gennaio 2011 e che in un anno e mezzo di attività ha già ottenuto risultati importanti: 192 pre-contatti attivati, 79 attività di scouting eseguite e 52 business plan compilati. Attualmente nei 1.500 metri quadri del Polo sono ospitate per la fase di start up tre aziende: lo studio di architetti Ikare; la Marco Allegrini Enertech che si occupa di energia ecosostenibile; il consorzio stabile risorse, impegnato nell’edilizia eco-compatibile. «Il nostro scopo – spiega il direttore dell’incubatore, Vito Amilcare Pesce – non è quello di fornire una semplice consulenza alle imprese o ai singoli soggetti che si presentano da noi con un’idea da sviluppare, ma consiste nell’accompagnare le aziende (o le persone) in un viaggio comune».