Risposta al cambiamento climatico e pari opportunità, inclusione e salute, servizi e lavoro, sostenibilità e riduzione delle disuguaglianze. In una parola, “benessere”. Non più inteso, e ormai da qualche anno, solo o tanto come ricchezza, personale o collettiva. Ma come processo di miglioramento delle condizioni di vita individuali e sociali. Per l’Ocse, che da domani a Roma ospita per tre giorni la settima edizione del Forum globale sul benessere, è sempre più necessario che «le politiche pubbliche tengano conto di tutto ciò che può massimizzare il benessere» delle persone e del pianeta.
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Un appello che, attraverso Avvenire, viene rilanciato da Romina Boarini, che all’interno dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dirige il Wise, unità dedicata a benessere, inclusione, sostenibilità e pari opportunità. «È un appello che naturalmente non lanciamo solo ai governi, ma anche al settore privato, alle imprese, alle istituzioni finanziarie – spiega Boarini –. Lo stesso forum di Roma, organizzato sotto la presidenza italiana del G7, serve ad allargare gli orizzonti e a portare nuova attenzione sul tema. Siamo lavorando con molti economisti, Banca d’Italia e tante banche centrali, che stanno facendo ricerca sul benessere: l’ambizione è influenzare uno spazio più grande. Il nuovo rapporto che lanceremo la prossima settimana mostra che il benessere negli ultimi quattro-cinque anni è aumentato per quel che riguarda gli aspetti strettamente economici, ma restano grandi problemi sociali, dalla sostenibilità alla salute mentale: è proprio ora che serve un approccio multidimensionale per il raggiungimento degli obiettivi».
La sfida di integrare il benessere individuale e collettivo nelle politiche pubbliche è una questione viva e dibattuta da tempo, una sfida che ha trovato soluzioni e proposte diverse. L’Italia è il primo fra i membri della Ue e del G7 ad aver incluso dal 2017, nei propri Documenti di programmazione economico-finanziaria (Def e Nadef), dodici indicatori di benessere equo e sostenibile (Bes), un modo per monitorare le condizioni di benessere attraverso i dati forniti periodicamente dall’Istat.
«Oggi il 70 per cento dei Paesi Ocse ha indicatori di benessere – aggiunge Boarini –. Molti Paesi stanno sperimentando sempre più l’attuazione di politiche specifiche, che possono assumere forme diverse. Il Bes in Italia è stato creato nel 2013: oggi gli indicatori messi a punto dall’Istat sono 152. L’Italia è anche uno dei pochi Paesi ad aver cominciato a declinare questo studio anche a livello regionale, a causa delle disparità tra territori. Altra esperienza interessante è quella della Gran Bretagna, il cui ufficio statistico nazionale durante la pandemia di Covid ha aumentato molto la raccolta dei dati per misurare anche elementi come la solitudine quale parametro della condizione di benessere»
Sempre in Gran Bretagna – evidenzia Boarini – si è molto lavorato sull’idea di sincronizzare la diffusione dei dati sul benessere rispetto a quelli del Pil, che hanno sempre molta centralità sui media: «In sostanza, quando viene comunicato il dato sul Pil vengono anche diffusi i dati su alcuni indicatori di benessere, un modo per mettere il Pil più in prospettiva rispetto ad altri fattori». Tra gli altri esempi Boarini cita inoltre quello dei Paesi Bassi, che combina il dato sul Pil con quelli relativi agli obiettivi dell’agenda 2030. Quel che conta, al di là degli aspetti specifici, è che misurare il benessere e integrarlo nelle politiche pubbliche «è assolutamente possibile». «L’Ocse – prosegue Boarini – già da 20 anni promuove il tema della misura e degli indicatori per avere dati verificabili sull’evoluzione della vita delle comunità, a favore delle quali devono essere pensate le politiche pubbliche».
A interrogarci sempre più, anche a causa dei sempre più frequenti disastri, è la questione ambientale, in senso ampio. «Nel nostro rapporto sul benessere – aggiunge Boarini – c’è un’ampia sezione sulla sostenibilità a partire da un’analisi che si basa sullo studio dei capitali: il capitale umano, il capitale sociale, il capitale naturale e quello economico. Per quanto riguarda il capitale naturale abbiamo vari indicatori, che misurano l’effetto serra, la biodiversità, l’utilizzo dell’acqua, il numero dei giorni di temperatura estrema nei vari Paesi Ocse e molti altri. Sarebbe bene disporre di un’analisi anche più profonda, al di là delle statistiche, su quali sono le ragioni per cui alcuni di questi capitali evolvono in un certo modo».
Per Boarini, è «chiaro che le sfide di benessere di oggi siano in qualche modo diverse da quelle di 20 anni fa». «Occorre quindi – conclude la dirigente Ocse – non restare legati al singolo indicatore emblematico, che è solo il punto di partenza di una certa criticità, ma arrivare alle possibili soluzioni tramite le politiche pubbliche. Non si tratta insomma solo di dati, ma anche di capire come i principi possono essere applicati».
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