sabato 19 giugno 2010
«Non conosco nessuna azienda che sia disposta, capace e che abbia avuto il coraggio di spostare la produzione da un Paese dell'Est di nuovo in Italia». Lo ha detto l'ad del Lingotto, parlando del progetto dello stabilimento campano.
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«Stiamo cercando di portare avanti un progetto industriale italiano che non ha equivalenti nella storia dell’Europa. Io non conosco nemmeno un’azienda che è stata disposta, ha avuto il coraggio ed è capace di spostare la produzione da un paese dell’Est di nuovo in Italia». È sorpreso e amareggiato delle polemiche che stanno accompagnando il piano di rilancio dello stabilimento Fiat di Pomigliano, l’ad del gruppo, Sergio Marchionne. È un fiume in piena: «Qui stiamo facendo discussioni sui giornali, in tv su principi di ideologia che ormai non hanno più corrispondenza con la realtà: parliamo di storie vecchie di 30, 40, 50 anni fa», continua intervenendo a margine del conferimento della laurea honoris causa al Governatore di Bankitalia Mario Draghi da parte del Cuoa, nel Vicentino. «Parliamo ancora di "padrone" contro il lavoratore: cose che non esistono più. Il mondo è cambiato e allora o decidiamo di competere veramente a livello internazionale o altrimenti l’Italia non avrà un futuro a livello di manifatturiero. Se la vogliamo ammazzare me lo dite: lo facciamo. Io sono disposto a fare quello che vogliono gli altri». E facendo riferimento allo stabilimento polacco di Tychy, dov’è stata prodotta finora la Panda, Marchionne ha detto: «L’hanno prodotta bene e a livelli altissimi di qualità che non sono mai stati raggiunti in uno stabilimento italiano. Mai! Quindi prima di criticare gli altri stiamo attenti». Così mentre la Fiom che non ha firmato l’accordo siglato da Fim Cisl, Uilm, Ugl e Fismic, continua ad agitare gli stabilimenti Fiat con assemblee e scioperi, il manager del Lingotto ammette: «Mi dispiace che ci sia tutta questa polemica su un accordo che doveva essere estremamente semplice».Lo sguardo va poi al referendum in programma martedì fra i lavoratori dell’impianto campano, a cui è affidata al decisione finale sul piano da 700 milioni. «Mi aspetto un esito positivo, vediamo cosa succede». A chi domandava quale fosse la soglia del consenso necessaria per dare il via libera all’accordo, Marchionne ha risposto: «Una percentuale tale da permettermi di usare lo stabilimento». Sul referendum è intervenuto anche il presidente di Fiat, John Elkann, a margine di una conferenza in Bocconi a Milano: «Martedì sarà sicuramente un giorno importante. Aspettiamo di vedere cosa succederà e come andrà».Che la posta in gioco a Pomigliano sia alta lo sanno le istituzioni locali che continuano a fare «campagna elettorale» per il sì. Il sindaco e il Pdl hanno affisso anche manifesti e allestito gazebo per invitare i lavoratori a esprimersi positivamente. Un auspicio che vale per il governo nazionale. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi definisce l’accordo di Pomigliano un «punto di riferimento per le relazioni industriali». Ed è fiducioso sull’esito della consultazione: «I buoni accordi sono destinati a transitare». «Bisogna assolutamente giungere a un accordo», spinge il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti. Anche il mondo imprenditoriale, con il presidente di Confidustria, Emma Marcegaglia confida «in un esito positivo» e spera che «la Fiom possa ripensarci davanti a un’espressione chiara dei lavoratori». Ma le tute blu della Cgil non sembrano raccogliere. «È la Fiat che deve ripensarci e il referendum è illegittimo», ha ribadito il segretario generale Maurizio Landini. Così si promuovono assemblee e scioperi. Come a Mirafiori, dove i lavoratori delle Carrozzerie della Fiat ieri a Torino hanno attuato uno sciopero di 2 ore. Così come avvenuto lunedì a Termini Imerese. Ma sullo stabilimento siciliano, arriva l’ultima bordata di Marchionne: «Lunedì scorso lo stabilimento di Termini Imerese è andato in sciopero e l’unica ragione era che stava giocando la Nazionale italiana. Cerchiamo di smetterla di prenderci per i fondelli. Come lo hanno fatto a Termini, lo hanno fatto a Pomigliano, lo fanno tutti gli altri stabilimenti italiani – ha concluso il manager, rilevando che «noi abbiamo bisogno, come negli Stati Uniti, di un solo interlocutore con cui parlare e non di dodici». Tutto è appeso a un filo. O a un voto.
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