IMAGOECONOMICA
Povertà assoluta, povertà relativa, rischio di esclusione sociale. Indici statistici diversi per comprendere un fenomeno complesso che in Italia è aumentato nel 2022, a causa dell’inflazione, che si è spalmata sulle famiglie in modo non equo, facendo crescere le disuguaglianze sociali. L’aumento dei prezzi ha riguardato, soprattutto, i beni energetici e alimentari che, di fatto, rappresentano spese incomprimibili, a cui le famiglie non hanno potuto rinunciare. Le conseguenze sono state più pesanti sulle famiglie meno abbienti, quelle più in sofferenza. Va detto che rispetto all’inflazione, leggendo i dati Istat emerge anche un aspetto positivo per l’anno appena iniziato: gran parte dell’inflazione registrata nel 2023 è stata il frutto dell’"effetto eredità lasciato dalla ascesa dei prezzi del 2022 (5,1%)", ma "il trascinamento al 2024 è pressoché nullo (+0,1%)".
Tornando alle condizioni economiche delle famiglie italiane, in che modo l’Istat ha migliorato la propria metodologia di misurazione della povertà assoluta? Perché è stato necessario questo aggiornamento metodologico? E ancora, perché i dati sul rischio povertà ed esclusione sociale combinati e diffusi da Eurostat, grazie alle basi fornite da Istat sono così differenti da quelli sulla povertà assoluta? «Non ha senso sorprendersi perché i dati statistici non sono uguali: essi sono coerenti tra loro. E avere più dati statistici a disposizione in una realtà tanto complessa è una ricchezza, ci permette di descriverla e comprenderla meglio» ha spiegato il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli.
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Le soglie di povertà assoluta: perché sono più di una
Per fare chiarezza sui dati, sulla loro non coincidenza, ma coerenza, bisogna innanzitutto ricordare che ci sono tre sistemi diversi con cui si misura la povertà e il rischio esclusione, in senso più ampio. Il primo sistema riguarda la stima della povertà assoluta che viene prodotta dall’Istat - caso unico nel panorama degli Istituti nazionali di statistica europei - a partire dal 2009 (per l’anno 2005) sulla base di una metodologia definita da una Commissione di studio istituita nel 2004. "Metodologia che ha poi ricevuto un ulteriore aggiornamento con l’istituzione di una seconda Commissione scientifica inter-istituzionale con la Banca d’Italia, il mondo universitario e altri enti autorevoli" ha precisato Chelli. Il compito è stato quello di analizzare la metodologia di stima della povertà assoluta, di verificarne la validità nell’attuale contesto economico-sociale e di proporre eventuali modifiche che abbiamo già potuto vedere applicate nell’ultimo report annuale sulla povertà dell’Istat, uscito lo scorso 25 ottobre.
Come spiegato dal professor Chelli, definire la povertà assoluta significa determinare i livelli minimi di fabbisogno per il cibo, la casa o le spese per l’affitto, ma anche le spese per il riscaldamento e l’elettricità, le rette e le spese per i libri di scuola media e superiore dei figli. Non vi è, però, un’unica soglia di povertà assoluta, ma tante, poiché è un valore che varia in base alle dimensioni (numero) e alla composizione (per classe di età) della famiglia, e soprattutto in base a nuova suddivisione territoriale più dettagliata che riguarda la regione di residenza (e non più l’area geografica come in passato) e il tipo di comune di residenza (distinguendo tra comuni centro dell’area metropolitana, periferia dell’area metropolitana e comuni fino a 50mila abitanti diversi dai comuni periferia dell’area metropolitana).
«Nel Sud e nelle isole risiede solo un terzo della popolazione, ma si contano oltre 2 milioni 500mila poveri assoluti - ha proseguito il presidente dell’Istat -, a fronte di circa 2 milioni 298mila del Nord, dove risiede circa il 46% della popolazione».
Se una chiave interpretativa preziosa è legata al divario territoriale, anche il numero di figli, la cittadinanza e il titolo di studio conseguito dalla persona di riferimento della famiglia rappresentano delle discriminanti sull’incidenza della povertà assoluta: ad esempio se il o la capofamiglia ha al massimo la licenza di scuola media l’incidenza di povertà assoluta sale al 12,5%, contro il 4% nei casi in cui abbia un diploma. In questo senso «la formazione è certamente un mezzo potente di contrasto al rischio di povertà assoluta» ha rimarcato Chelli.
Strumenti di misurazione diversi ma dati coerenti
Avere diversi strumenti per classificare la povertà significa anche poterla studiare da angolazioni differenti e provare a contrastarla: se in povertà assoluta vivono poco più di 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021) e oltre 5,6 milioni di individui (9,7% in crescita dal 9,1% dell’anno precedente) differenti sono i numeri che riguardano la povertà relativa. Si tratta, ovviamente, di un altro sistema di misurazione che "considera lo standard di vita della popolazione intera e definisce povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite" che è stata stabilita a 1.150 euro nel 2022, come soglia unica nazionale. Nel 2022, sono più di 2,86 milioni le famiglie in povertà relativa, per un totale di oltre 8,6 milioni di individui.
Il rischio esclusione sociale e il confronto in l’Europa
Il terzo sistema di misurazione, infine, è rappresentato dal database comune di Eurostat, che pure si basa sui dati grezzi forniti dall’Istat per l’Italia, offrendo statistiche comparabili sul rischio di povertà ed esclusione sociale con tutti gli altri Paesi europei. In questo caso, si tiene conto se le persone che si trovano in almeno una di queste tre condizioni: se vivono in famiglie a rischio di povertà o il reddito della famiglia è inferiore al 60% del reddito familiare mediano nazionale; oppure se vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (indicatore Europa 2030); e infine, se vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Quando si dice deprivazione si considerano non solo la casa, il cibo e le spese energetiche e per l’istruzione, ma anche se una famiglia non può permettersi una settimana di vacanza lontano da casa almeno una volta l’anno o non può permettersi un’automobile. Secondo questi dati dell’indagine EU-SILC (EU Statistics on Income and Living Conditions) le persone a rischio esclusione sono in Europa attorno al 21,6% e poco al di sotto della media europea si trovano anche Francia (21%) e Germania (20,9%). "Per costruzione del dato abbiamo un valore più alto, ma coerente con gli altri: in Italia nel 2022, il rischio di esclusione sociale è pari a 24,2% (circa 14 milioni 304mila persone), pressoché stabile rispetto al 2021" ha aggiunto ancora il presidente dell’Istat, convinto che avere tanti dati diversi a disposizione ci permetta di fotografare meglio la società complessa in cui viviamo.