Stefano Barrese, responsabile della divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo - ANSA
Favorire concretamente lo scambio tra due economie – quella sociale e quella di mercato – per un apprendimento reciproco. Con questo obiettivo, Intesa Sanpaolo ha deciso di allargare "Imprese Vincenti", per la sua seconda edizione, alle realtà del non profit. Con una tappa ad hoc che si è tenuta ieri, infatti, nel programma del gruppo bancario dedicato alla valorizzazione delle piccole e medie imprese italiane (spesso poco note ma fondamentali per la vitalità del sistema produttivo nazionale) sono stati inseriti anche gli enti del Terzo settore. "Alla base di questa decisione c’è l’intenzione di dare alle realtà del Non profit, che noi conosciamo bene, la stessa importanza delle altre imprese. Ed è anche un riconoscimento del ruolo fondamentale che il Terzo settore riveste nell’economia e nel tessuto sociale del Paese", spiega Stefano Barrese, responsabile della divisione Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo.
Che cosa comporta l’inserimento delle imprese del Terzo Settore in un format destinato al profit?
L’impegno su temi legati alla sostenibilità e all’ambiente è diventato trasversale, come dimostra anche l’attenzione crescente ai criteri Esg - Environmental, Social, Governance - in ambito economico-finanziario. Sono alcuni dei criteri con cui abbiamo selezionato le Imprese Vincenti. Nella tappa dedicata al Terzo settore andiamo a riconoscere queste organizzazioni come "vincenti" anche per i valori diffusi che portano alla collettività, oltre naturalmente ai benefici per le persone a cui si rivolgono. In questo modo riusciamo a valorizzare e dare visibilità anche alle realtà del Non profit concentrate sul benessere dei territori. Si inizia a vedere, inoltre, un’osmosi crescente tra il mondo non profit e quello profit e la nostra iniziativa va proprio nella direzione di questo avvicinamento.
Questa "osmosi" comporta più opportunità che rischi?
Direi che si tratta di un’influenza positiva. L’attenzione alla sostenibilità e al sociale tipiche e native del Non profit oggi si riscontrano spesso anche nelle imprese cosiddette di "mercato", mentre in passato erano aspetti sottovalutati. Così come il mondo non profit è sempre più concentrato sull’equilibrio economico-finanziario. Direi quindi che i due mondi stanno sempre più assorbendo il meglio di ciascuno, con ritorni in termini di solidità ed effetti positivi sull’intera economia.
La presenza di Intesa Sanpaolo nel Terzo Settore è consolidata, grazie anche al contributo di Banca Prossima. È un processo destinato a crescere anche con l’integrazione di Ubi Banca?
Assolutamente sì. Da oltre 13 anni seguiamo il Terzo Settore e adesso, con l’incorporazione di Banca Prossima, è un’attività che portiamo avanti direttamente come Intesa Sanpaolo. Possiamo contare su oltre 100mila organizzazioni non profit tra i nostri clienti - associazioni, fondazioni, cooperative, imprese sociali - e su oltre 400 persone che in Intesa Sanpaolo si dedicano in via esclusiva a questo ramo. Con l’ingresso di Ubi Banca questi numeri sono destinati a crescere. Del resto, l’esperienza ereditata da Banca Prossima è quella di maggior successo a livello nazionale e ha creato le condizioni per la creazione del nostro Fondo di impatto su cui sono appoggiati progetti significativi che prevedono lunghi tempi di restituzione e tassi veramente molto bassi. Penso a "Per merito", il prestito rivolto agli studenti universitari per favorire l’accesso a un’istruzione qualificata e all’iniziativa "mamma@work", rivolta alle madri lavoratrici per conciliare vita familiare e professionale nei primi anni di vita dei figli. Recentemente, inoltre, abbiamo lanciato anche un fondo ad hoc per il microcredito Xme StudioStation che consente alle famiglie di affrontare, al costo di 1 euro al giorno, l’acquisto di device e strumenti necessari per la didattica a distanza dei figli. Sono strumenti che, come nel caso delle organizzazioni del Terzo settore, facilitano l’accesso al credito. D’altra parte, pochi giorni fa siamo stati confermati nell’indice Dow Jones, uno dei più selettivi al mondo, una delle categorie dove abbiamo avuto il massimo punteggio è stata proprio l’inclusione finanziaria.
Servono garanzie specifiche per la liquidità al Terzo Settore?
Queste iniziative le facciamo senza alcuna garanzia. Per noi la garanzia è il livello di responsabilità dei soggetti nell’approcciare al credito. Del resto l’esperienza positiva di Banca Prossima parla chiaro, visto che i casi di default si contano sulle dita di una mano e la qualità del credito è sempre risultata molto elevata. L’esperienza dell’impact si estende anche alla collaborazione proficua che noi abbiamo con nostri azionisti come le fondazioni.
Quanti margini di crescita ci sono per il Terzo settore attraverso la finanza?
Direi che gli spazi di crescita sono consistenti. Sono convinto che lo sviluppo del Terzo Settore passi soprattutto attraverso la leva finanziaria che permette, anche attraverso un credito costruttivo, di realizzare progetti e tutelare l’occupazione. Tra l’altro, nel prossimo futuro il Non profit è uno di quegli ambiti che potrà fungere da "ammortizzatore" per eventuali riduzioni occupazionali in altri comparti. Del resto, ci sono alcuni ambiti, a partire dall’assistenza socio-sanitaria, in cui le imprese sociali rappresentano un’eccellenza e rivestiranno un ruolo sempre più centrale. Nell’ottica di un Terzo Settore sempre più di sostegno al Paese, nel welfare e non solo, occorre ragionare sulla creazione di fondi garanzia che la finanza sappia utilizzare al meglio.
Anche le realtà dell’economia sociale stanno subendo l’impatto pesante del Covid. Come si aspetta che possa reagire il Terzo Settore alla crisi in corso?
Nel Terzo settore c’è una capacità di tenuta molto forte che può essere utile nel superamento di questa fase critica. Rispetto al mercato profit, che oltre all’esigenza di mantenere l’occupazione deve assicurare adeguati ritorni economici, il Terzo settore è avvantaggiato dal ritenere il profitto un fattore secondario e può concentrarsi sulla propria funzione di erogare i servizi necessari alla vita di una comunità. Ciò non significa, ovviamente, che il Terzo Settore non debba beneficiare di contributi e interventi per affrontare la crisi pandemica in corso, anzi proprio per il suo ruolo dovrebbe essere maggiormente ascoltato.