L'Italia è al centro di una delicata partita geopolitica che si sta giocando sul terreno dell’energia. Lo ha rivelato il rapporto Nomisma Energia, presentato ieri a Barletta in apertura del XIII Forum energetico internazionale, che oggi lancerà il primo gasdotto transadriatico, il Tap. La novità? Ridurre la nostra dipendenza cronica dalle importazioni di energia è possibile, a patto di cercare alleati in nuovi mercati e diversificare le fonti. Nella mappa internazionale delle infrastrutture energetiche, il nostro Paese è infatti uno dei possibili snodi strategici per lo smistamento di gas nel resto d’Europa: progetti di portata strategica come l’Itgi, che collega l’Italia alla Turchia e alla Grecia, e il Galsi, che porta gas dall’Algeria alla Sardegna, hanno uno sbocco diretto sulla nostra penisola, altri come il Nabucco e il South Stream potrebbero averlo grazie alle interconnessioni con i Paesi confinanti.l punto è che non c’è solo l’Italia, sostenuta da Stati Uniti e Ue, tra i candidati a diventare l’
hub, la porta di smistamento, delle grandi rotte dell’energia. Ci sono anche i Balcani, che hanno nella Russia di Putin il loro principale e potente sponsor, e più distanti i Paesi della penisola iberica. Dalla sua, il nostro Paese ha il fatto di essere una delle aree maggiormente interessate da nuovi progetti sia di terminali a gas naturale liquefatto sia di gasdotti: il 18% delle infrastrutture è in costruzione, mentre il 29% è in fase di progetto. Per di più siamo collegati alle regioni europee dai maggiori consumi tramite i corridoi Tag e Transitgas.Chi vincerà questa sfida a tre? Il rapporto Nomisma non lo dice, ma suggerisce di guardare più a Sud per trovare la risposta. È il Mediterraneo, infatti, l’alternativa più concreta a quella che gli osservatori hanno ribattezzato come «l’Opec del gas», costituita da Russia e Algeria, che detiene il controllo dei rubinetti del metano della vecchia Europa.«Attualmente – spiega il rapporto di Nomisma Energia – sono in costruzione circa 80 miliardi di metri cubi di capacità di importazione con destinazione finale il mercato europeo allargato, di cui il 40% relativo ad infrastrutture che insistono sull’area del Mediterraneo». Non solo: ulteriori 385 miliardi sono in progetto «con diverso grado di probabilità».I Paesi-chiave sono la Turchia, l’Azerbaigian e le repubbliche ex sovietiche che gravitano intorno al Caspio. La realizzazione anche parziale di progetti alternativi, secondo Nomisma Energia, «potrebbe contribuire sensibilmente a modificare sia la struttura del sistema gas europeo che, conseguentemente, il portafoglio fornitori». Il costo delle nuove forniture via gasdotto dal Medioriente risulterebbe peraltro in diversi casi sostanzialmente competitivo. Ma se il metano resterà una fonte-chiave nel nostro approvvigionamento, con una domanda nuovamente in crescita nei prossimi anni, la diversificazione potrebbe riguardare, sempre nel Mediterraneo, anche le stesse fonti energetiche. Tre progetti (denominati Desertec, Supergrid e Msp) prevedono un grande sviluppo di generazione da fonti rinnovabili, a partire dal solare. «L’introduzione sul mercato europeo delle energie rinnovabili provenienti dalle aree a Sud e a Est del Mediterraneo sarebbe in grado di attenuare la crescente pressione sulle risorse da combustibili fossili (gas naturale
in primis) che altrimenti deriverà dalla crescita economica di questa regione, contribuendo così a una maggior disponibilità di idrocarburi in Europa» sostiene Nomisma Energia.Se l’Italia vorrà ricoprire un ruolo di
leadership (sia pure in termini non di produzione, ma di distribuzione del gas) dovrà comunque fare i conti con i tanti cantieri aperti nel resto d’Europa: l’area balcanica, ad esempio, prevede una nuova interconnessione tra Montenegro ed Italia da 2mila megawatt, con un cavo sottomarino da 375 chilometri, oltre ad una nuova interconnessione tra Croazia ed Italia. Nella penisola iberica invece è previsto un potenziamento dei collegamenti con il Marocco e una nuova interconnessione con l’Algeria. «A tale scenario di interconnessioni tra macrozone affacciate al Mediterraneo – spiega il rapporto – dovranno corrispondere nuove infrastrutture di collegamento tra macroaree europee e all’interno delle stesse, oltre che tra sud ed est del Mediterraneo già in progetto». Insomma: la sfida è stata lanciata e la torta delle risorse fa gola a molti. Se tutti i terminali, in cantiere e su carta, sin qui aperti fossero completati da qui al 2020, gli investimenti complessivi ammonterebbero a 6,5 miliardi di euro.