La pessima giornata dei mercati proiettata in un tabellone a Tokyo il 13 giugno 2022 - Ansa
Le Borse vivono giorni turbolenti. Gli indici sembrano in caduta libera, la tensione è a livelli che non si vedevano da tempo. Ma che cosa sta succedendo? Abbiamo provato a fare un po' di ordine.
I record storici (una bolla?)
Per capire perché le Borse adesso stiano perdendo tanto occorre ricordarsi a che punto erano. Molti dei principali listini azionari sono entrati nel 2022 ai livelli più elevati di sempre. Negli Stati Uniti l’indice Dow Jones ha toccato il suo record storico a 36.799 punti il 4 gennaio di quest’anno, il record del Nasdaq risale a qualche giorno prima: 16.057 punti il 19 novembre 2021. Anche il Dax di Francoforte ha segnato il suo record a gennaio, così come il Cac 40 di Parigi, mentre il FTSE di Londra ha aperto l’anno attorno ai 7.500 punti, non lontana dai massimi storici del maggio 2018. Milano è un caso diverso, perché il record storico di oltre 50mila punti toccato nel 2000 non è mai stato riavvicinato. A gennaio comunque l’indice milanese FTSE Mib superava i 28mila punti per la prima volta dal 2008.
Le Borse, insomma, fino a pochi giorni fa erano a livelli elevatissimi, nonostante la crisi provocata dalla pandemia. Una correzione verso il basso era prevedibile, perché la situazione economica non giustificava valori così elevati per le azioni.
La stretta monetaria
Dietro la corsa delle Borse, come di molti altri asset (compresi l’immobiliare e le criptovalute), c’erano soprattutto le politiche accomodanti delle grandi banche centrali. In Europa il tasso principale della Banca centrale europea è azzerato dal marzo del 2016. Negli Stati Uniti il tasso della Federal Reserve era stato azzerato (in un intervallo tra lo 0 e lo 0,25%) ad aprile 2020 per la pandemia.
Con le politiche di allentamento quantitativo le banche centrali dal 2008 in avanti hanno immesso enormi quantità di denaro nel sistema. Negli ultimi quattordici anni il bilancio della Federal Reserve è cresciuto – attraverso gli acquisti di titoli pubblici e privati – da circa 900 a quasi 9mila miliardi di dollari. Nello stesso periodo il bilancio della Bce si è gonfiato da 2mila a oltre 8mila miliardi di euro.
Una buona parte dell’enorme disponibilità di denaro messa in circolazione dalle banche centrali per stimolare l’economia è finita nei mercati finanziari.
La fase di espansione monetaria però è ormai al termine. Con l’inflazione volata oltre l’8% sia in Europa che negli Stati Uniti le banche centrali hanno interrotto gli acquisti di titoli con l’allentamento quantitativo e avviato i rialzi dei tassi. A marzo la Fed ha portato il costo del denaro allo 0,5%, a maggio all’1%. Giovedì scorso la Banca centrale europea ha annunciato che a luglio alzerà i tassi allo 0,25% (sarebbe il primo rialzo dal 13 luglio del 2011) e procederà con un secondo aumento a settembre. In autunno potrebbe portarli allo 0,50% ma anche allo 0,75% se il consiglio direttivo della banca centrale lo riterrà utile per contrastare l’aumento dell’inflazione.
La “stretta monetaria” avviata in Europa e Stati Uniti ha sorpreso gli investitori, che si aspettavano passaggi più graduali da parte delle banche centrali.
Christine Lagarde, presidente della Bce, nella conferenza stampa dello scorso 9 giugno - Ansa
La stagflazione
L’aumento dei tassi e più in generale le politiche monetarie restrittive servono generalmente a raffreddare un’economia quando si è surriscaldata. Cioè quando corre troppo trainando anche la crescita dell'inflazione. Questo però non è il caso dell’Europa di oggi, e forse nemmeno degli Stati Uniti. In entrambe le aree economiche infatti i prezzi stanno correndo, ma la guerra in Ucraina ha provocato una brusca riduzione della crescita economica. Alcuni analisti temono che la stretta monetaria possa portare sia gli Stati Uniti che l’Europa verso la recessione, cioè una contrazione del Prodotto interno lordo per due trimestri consecutivi.
Strette tra l’esigenza di fare qualcosa per contenere i prezzi ma non danneggiare troppo l’economia reale, le banche centrali si trovano davanti a un dilemma operativo molto problematico. C’è il rischio reale di stagflazione: una situazione di stagnazione economica in presenza di alta inflazione.
Lo scenario di una crisi economica pesa anche sulle Borse: le prospettive di guadagno e di profitto delle aziende (che sono poi il parametro fondamentale per la valutazione di un’azione) si stanno ridimensionando, anche bruscamente, mettendosi in “assetto crisi”.
Un operaio al lavoro in una fabbrica italiana - Ansa
Il ruolo dei Buoni Poliennali del Tesoro
Le vendite hanno colpito soprattutto le azioni, ma anche le obbligazioni. In particolare sono sotto pressione i titoli di Stato, tutti: da quelli degli Stati Uniti a quelli della zona euro. L’aumento dei tassi di riferimento fa salire quasi in automatico il rendimento che gli investitori si aspettano di ottenere dalle obbligazioni. Il mercato sta vendendo i titoli emessi nei mesi e negli anni passati, a tassi bassissimi quando non negativi, perché sono sempre meno convenienti fuori da una situazione di costo del denaro azzerato.
A questo si aggiunge che la Bce ha interrotto gli acquisti di titoli di Stato e nella conferenza stampa del 9 giugno il presidente Christine Lagarde non ha spiegato in che modo la banca centrale intende intervenire nel caso gli spread aumentino eccessivamente.
I Buoni poliennali del Tesoro italiani (i Btp) soffrono più degli altri quando partono le vendite. Con un debito pubblico sopra i 2.700 miliardi di euro, attorno al 150% del Pil, l’Italia resta la più indebitata delle grandi economie europee. Le vendite dei titoli in circolazione hanno portato il tasso del Btp decennale, l’obbligazione di riferimento, a superare il 4% mandando lo spread rispetto ai Bund tedeschi anche sopra i 240 punti.
Le banche italiane hanno nei bilanci titoli di Stato per circa 420 miliardi di euro. La svalutazione di queste obbligazioni ha provocato un’immediata riduzione anche della capitalizzazione delle stesse banche, che fanno il grosso del listino di Milano.
Il palazzo del ministero del Tesoro, a Roma - MEF
E ora che cosa succederà?
Ovviamente è impossibile saperlo. Quello che sembra chiaro è che il contesto economico-monetario dell’ultimo decennio – fatto di tassi a zero e Borse in forte aumento, anche senza agganci all’economia reale – è al tramonto. Questa “correzione” dei valori potrebbe durare a lungo, magari con fasi altalenanti. Le mosse delle banche centrali, a partire da quello che domani deciderà la Federal Reserve sui tassi, saranno il principale fattore da tenere d’occhio.
E, come sempre, il suggerimento per chi non è pratico di investimenti è di muoversi solo con l’aiuto di consulenti esperti e fidati, definendo chiaramente i propri obiettivi temporali e la predisposizione al rischio. Altrimenti è solo una rischiosa roulette.