Il presidio dei lavoratori dell'ex Ilva fuori da palazzo Chigi - Ansa
La quadratura del cerchio non c’è e dai sindacati il governo si presenta a mani vuote, senza una soluzione percorribile per l’ex Ilva. La speranza è che arrivi entro la fine dell’anno ma il tempo stringe.
Domani riparte il confronto con ArcelorMittal, l’assemblea dei soci torna a riunirsi per la quarta volta in poche settimane, mentre il 28 dicembre il governo ha messo in calendario un Consiglio dei ministri straordinario.
Subito dopo riaprirà il dialogo con i sindacati che ieri per protesta hanno occupato la sala dove avevano incontrato per tre ore diversi esponenti del governo. Ad emergere una spaccatura interna nell’esecutivo tra la linea di dialogo ad oltranza con il socio privato del ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto, che a settembre aveva firmato un memorandum d’intesa con ArcelorMittal, e quella più interventista del ministro delle Imprese Alfonso Urso, da sempre favorevole ad un passaggio in maggioranza dello Stato, che oggi tramite Invitalia possiede il 32%. All’incontro hanno partecipato anche la ministra del Lavoro Marina Calderone, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Alfredo Mantovano e in video-collegamento il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. L’esecutivo ha ascoltato le richieste dei sindacati confederali, centrate sul passaggio in maggioranza dello Stato, ma senza dare indicazioni e ha scaricato sui governi precedenti la situazione intricata con patti parasociali capestro ancora non del tutto analizzati. Palazzo Chigi nel pomeriggio ha cercato di rassicurare gli animi con una nota ufficiale: «Il governo ha confermato l'intenzione di continuare a fare la propria parte - si legge nella dichiarazione - e ha assicurato che sarà garantita la continuità aziendale. Ha inoltre convocato le organizzazioni sindacali per un nuovo incontro da tenersi entro la fine dell’anno».
Nelle dichiarazioni dei segretari confederali molta preoccupazione ma anche la convinzione che questa volta il governo ha capito che la strada della trattativa con ArcelorMittal è un binario morto. Improbabile che all’orizzonte ci sia già un “sostituto”. L’unica via percorribile nel breve periodo secondo i sindacati è la capitalizzazione dei 680 milioni di euro versati in primavera come prestito azioniario e la nazionalizzazione, almeno provvisoria, di Acciaierie d’Italia.
Di fronte ai tre possibili esiti della vertenza prospettati: salita pubblica come unica soluzione, amministrazione straordinaria o situazione attuale con il soggetto privato, hanno spiegato il segretario della Fiom Michele De Palma, quello della Uilm Rocco Palombella e quello della Fim Roberto Benaglia, il governo non ha dato risposta e non ne ha escluso nessuno.
«Un incontro difficile da cui non abbiamo avuto risposte sufficienti e chiare. Abbiamo chiesto che il governo, che ci pare preoccupato dalle battaglie legali con Mittal, cambi passo - ha sottolineato Benaglia - Ci ha risposto che è pronto ad assicurare la continuità produttiva dell'ex Ilva, ma non basta. La continuità produttiva si può garantire anche con l’amministrazione straordinaria che sarebbe una scelta perfetta per gli azionisti ma disastrosa per i lavoratori e tutto il sistema degli appalti». Mentre i segretari cercavano risposte in piazza i lavoratori protestavano parlando di “vergogna italiana” e di una vertenza che dura da 12 anni senza un piano industriale.
Il primo nodo da risolvere è quello della liquidità. Servono almeno 320-380 milioni di euro per scongiurare il blocco della fornitura di gas e far fronte alle esigenze immediate e un miliardo e mezzo per acquistare gli asset da Ilva in amministrazione straordinaria. Una manovra indispensabile ad Acciaierie d’Italia per tornare ad avere accesso al credito. Dal 23 novembre, giorno della prima assemblea, ArcelorMittal si è sempre rifiutata di versare la propria quota, 900 milioni di euro, e nell’ultima riunione ha presentato una memoria legale contestando allo Stato di essere inadempiente sulla decarbonizzazione. Nel frattempo, il colosso franco-indiano ha messo la filiale italiana fuori dal bilancio di gruppo, un accorgimento tecnico a fronte di una situazione disastrosa, che è un ulteriore segnale di un imminente disimpegno.
Di fronte a un nuovo rifiuto del socio privato e con il rischio del collasso degli impianti, al momento è in funzione solo un altoforno, è probabile che lo Stato non abbia altra alternativa che salire in maggioranza. In qualità di socio pubblico che detiene più del 30% di una società strategiche potrebbe attivare la legge Marzano richiedendo la procedura di amministrazione straordinaria. Una terza ipotesi sul tavolo è la ricerca di un nuovo partner industriale. Tra i nomi circolati in passato spicca quello di Metinvest, la società ucraina controllata dal magnate Rinat Akhmetov che ha puntato i sui radar sull’Italia ed ha deciso di entrare a Piombino. Improbabile che pensi ad un raddoppio nonostante in passato abbia preso in considerazione l’ex Ilva. Potrebbero entrare in campo un colosso indiano, la conglomerata Tata, alla quale potrebbero interessare gli impianti di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano. Infine c’è l’ipotesi più drammatica che è la messa in liquidazione della società e il suo commissariamento per poi ripartire con nuovi azionisti. Soluzione al momento improbabile che farebbe perdere il posto agli oltre 10.700 dipendenti di Acciaierie d’Italia (altri 3.600 sono in cassintegrazione) e ad altrettanti lavoratori ell’indotto.