Rendere più snello il processo di nullità, sottolineare con più forza il ruolo decisionale del vescovo diocesano per un obiettivo specificamente pastorale, eliminare inutili lungaggini che finivano per ripercuotersi sui fedeli. Ecco i tre obiettivi che hanno indotto il Papa ad abbreviare i tempi, pubblicando a circa tre settimane dall’inizio del Sinodo la riforma del processo canonico. Lo osserva da Gaeta, dove è in corso il convegno annuale dell’Associazione canonistica italiana, il professor Paolo Moneta, che da molti anni ne è il presidente, docente all’Università di Pisa. Di processo di nullità, in questi mesi, si è occupato molto, perché ha fatto parte della commissione incaricata dal Papa per predisporre lo schema della riforma.
Perché il doppio giudizio obbligatorio è stato considerato ormai inutile? Era una garanzia decisa tre secoli fa da Benedetto XIV con l’obiettivo di frenare gli abusi e custodire l’indissolubilità del matrimonio. Oggi con una migliore organizzazione dei tribunali si è considerata superflua. In questo modo abbiamo allineato le cause di nullità ad altri procedimenti che si concludono con un primo giudizio favorevole. Era una novità che tutti noi addetti ai lavori auspicavamo da tempo e che il Papa ha condiviso.
Giusto attribuire al vescovo un ruolo così centrale anche dal punto di vista operativo?Sì, giustissimo, perché si è voluto sottolineare il carattere pastorale dei giudizi di nullità, ribadendo come la Chiesa abbia un diretto interesse spirituale in queste procedure. Prima il vescovo delegava completamente il suo potere – comunque sempre presente – al vicario giudiziale. Ora si è voluto mostrare che la Chiesa non considera i processi di nullità come pratiche burocratiche, ma che c’è sempre sullo sfondo una sollecitudine pastorale.
Era proprio indispensabile uscire con questi documenti a tre settimane dal Sinodo?Era una decisione attesa. D’altra parte l’auspicio per uno snellimento era largamente condiviso. E sia il Sinodo dell’ottobre scorso, sia l’Instrumentum laboris si erano pronunciati in questo senso. Il Papa ha ritenuto che fosse inutile attendere ancora.
Come mai si è inteso ribadire il ruolo centrale della metropolita?Una sottolineatura in diretta dipendenza con il ruolo riassegnato ai vescovi. Quando il primo grado viene espresso da un tribunale interdiocesano è giusto che l’appello tocchi al vescovo metropolita. Quando invece il primo grado arriva dalla sede metropolitana ed è necessario andare in appello non cambia nulla rispetto all’esistente. Non abbiamo stravolto l’ordinamento giudiziario attuale.
Come mai la mancanza di fede tra le cause per arrivare al rito abbreviato? Ma no, quello del Papa è solo un esempio per spiegare che la mancanza di fede può essere propedeutica a un motivo di nullità. Di per sé infatti la mancanza di fede non era causa di nullità prima e non lo è neppure oggi.
Ma come si fa a condividere i fondamenti del matrimonio cristiano se non si crede?È da tempo che si discute sul fatto che la mancanza di fede possa pregiudicare la validità del matrimonio. Ma il matrimonio è anche un istituto naturale ed è sempre prevalsa l’idea che la mancanza di fede non possa essere da sola motivo di nullità. Certo, l’indissolubilità del matrimonio è più difficile da accettare se uno non ha fede. Diciamo che la mancanza di fede provoca un rischio, un substrato particolarmente favorevole alla nullità. Ma nulla più. Il Papa insomma non è intervenuto sulla casistica della nullità, che rimane tale e quale.
Qualcuno ha fatto notare un rischio clericalizzazione del processo di nullità?Ma no, anzi c’è una maggior valorizzazione dei laici che ora possono essere due in un collegio, sempre comunque presieduto da un chierico. Prima nel collegio c’erano due chierici e un solo laico.