Un momento della giornata di lavoro promossa dal Servizio nazionale della Cei per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili - .
Il nuovo e positivo segno di una crescente sensibilità sulla realtà degli abusi è arrivato dalla folta partecipazione alla giornata di studio “L’indagine previa”, promossa ieri a Roma dal Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Conferenza episcopale italiana. Nella sala Tiberiade del Pontificio seminario romano, un pubblico di giuristi, addetti ai lavori e operatori dei Centri di ascolto provenienti dai Servizi regionali/diocesani/interdiocesani per la tutela minori, curie diocesane, università, istituti religiosi e tribunali ecclesiastici, si è confrontato con un panel di esperti canonisti, approfondendo aspetti tecnici e procedimentali dell’indagine previa.
L’incontro è stato aperto e moderato da padre Luigi Sabbarese, docente di diritto canonico alla Pontificia università Urbaniana e vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico del Vicariato della Città del Vaticano, che ha sottolineato come questa iniziativa si collochi «in un tracciato di formazione per gli operatori sul territorio» per «garantire un percorso di giustizia e di verità», poiché, «a ragion veduta, l’indagine previa è un punto molto delicato: di partenza e di arrivo».
Monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia e presidente del Servizio nazionale per la tutela minori, nel suo saluto in avvio dei lavori ha ricordato come questa giornata si inserisca «in quelle cinque azioni che vescovi italiani hanno approvato nell’Assemblea generale del maggio scorso e che prevedono una serie di attività per contrastare il fenomeno degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili».
«Quello dei Centri di ascolto è un servizio pastorale – ha ribadito –. che non si sostituisce in alcun modo alla denuncia presso le autorità giudiziaria. I Servizi diocesani come i Centri di ascolto sono da pensare come un servizio pastorale dove diamo assistenza, accoglienza, ascolto alle persone che vi si rivolgono e che troveranno sempre le porte aperte, perché ci sia un’attenzione vera per scongiurare questo peccato e reato gravissimo che è l’abuso».
Osservazione rimarcata anche da don Gianluca Marchetti, cancelliere della curia di Bergamo: «Il centro di ascolto non è uno sportello per la raccolta di denunce che si sostituisce o si sovrappone all’autorità giudiziaria o ad altri organismi o strutture dello Stato all’uopo preposte, così come non si configura come il luogo di un accompagnamento psicoterapeutico o di assistenza legale: si tratta di un servizio ecclesiale di natura pastorale». «Acquisire la notizia di un delitto è un passo necessario per perseguire eventuali responsabilità e impedire il reiterarsi di fatti gravissimi – ha spiegato don Marchetti –, così come, successivamente, una trattazione rapida, seria, trasparente e corretta delle segnalazioni ricevute».
Monsignor Paolo Bianchi, vicario giudiziale dell’arcidiocesi di Milano, ha trattato nello specifico gli aspetti di tipo processuale dell’indagine previa, fornendo anche un testo di esercitazione utile a comprendere i vari passaggi dell’indagine, dalla segnalazione in poi: «Quando si predispone un’indagine previa? Quando si ha notizia del delitto: che non deve essere manifestamente infondata, ma avere profili di verosimiglianza». Scopo dell’indagine, infatti è «passare dalla verosimiglianza (la semplice possibilità) della notizia di un possibile delitto (che costituisce il mero presupposto dell’aprirsi di una indagine previa) alla sua probabilità, che ne è invece l’esito proprio».
Infine, monsignor Jordi Bertomeu Farnós, officiale del Dicastero per la Dottrina della fede, ha esposto e commentato le fasi dell’indagine previa e le motivazioni alla base dei canoni che vi si riferiscono. Bertomeu Farnós ha ripercorso le tappe storiche della normativa e illustrato le procedure di azione, a partire dalla fondamentale fase di valutazione dei casi che determina l’avvio del processo, dopo aver considerato la possibilità e l’opportunità dello stesso e la scelta di procedere in via amministrativa o giudiziaria. Particolare attenzione è stata posta sulla definizione delle misure cautelative: «Non sono pene né giudizi, ma proibizioni o limitazioni del ministero, imposte tramite un atto amministrativo per la tutela del bene comune». «Dalla prassi del Dicastero – ha spiegato – emerge il principio di evitare il semplice trasferimento d’ufficio o di luogo. Non sono queste le misure cautelative adatte e sicure».