
La chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione - Siciliani
Assistiamo ad una rivoluzione mondiale ognuno a casa propria, illudendoci che non succederà niente e che tutto ritornerà come prima, a quelli che riteniamo fossero i tempi d'oro. Ed era invece la nostra giovinezza, se ora siamo anziani, o la favola che ci raccontavano da bambini sparita nelle nebbie degli anni, se siamo giovani. Dobbiamo avere il coraggio di guardare al mondo così come ci si presenta e nello stesso tempo rivedere quali sono le cose primarie alle quali non possiamo rinunciare, quali sono i nostri doveri in una società che ci appartiene, dove siamo tenuti a dare la nostra opera perché migliori.
Ciò che sembra mancare è la consapevolezza che il mondo siamo noi e che nessuno ci aiuterà se non cominciamo a farlo noi stessi. Il primo compito è quello di guardarsi dentro e vedere cosa c'è da usare, da rendere più in armonia con i tempi e da giocare sul terreno non solo personale, ma comune. Allo stesso modo non saranno le armi che mandiamo ai popoli in guerra che decideranno la loro sorte, ma le idee, i principi di una civiltà moderna, la coscienza politica, l’impegno morale, l'istruzione che darà un futuro ai popoli giovani che entrano oggi nell'esperienza stimolante di un mondo globale. E l'Europa sembra perdere colpi, come un motore invecchiato, e forse incomincia a rendersi conto che, per esportare i risultati del suo cammino, bisogna anche non averli dimenticati o perduti.
Ci sono certe periferie di città che sono diventate, in ogni senso, terre di missione. Un prete, alcuni giorni fa, diceva che nella sua parrocchia aveva dato inizio ad una scuola di educazione civica dove si insegna anche quale significato ha il sedersi a tavola e mangiare con i propri familiari, dove incomincia la libertà personale e quale è il suo confine naturale e quello della legge. Cosa si può sopportare e dove invece è giusta una posizione entro i confini del diritto. Con sua sorpresa egli vedeva che ogni età è buona per incominciare, se si rinuncia alle sole critiche e recriminazioni.
A questo proposito ci sono alcune lettere di De Gasperi scritte a sua moglie quando, appena uscito di prigione, non trovava lavoro e doveva passare inosservato tra la gente senza dire proprio nome, quasi fosse un galeotto. «Mia cara - scrive a Francesca quando vive solo a Roma non essendo in grado di farsi raggiungere dai suoi, perché privo di beni materiali -, eccomi qua nella nuova pensione di famiglia. Di famiglia c'è veramente poco, se non la necessità di starsene pigiati attorno ad un tavolo con le due sorelle padrone di casa, un avvocatino, una signora anziana, un'altra con un figlio studente ed un medico. Gente che non so da che parte vengano, né loro sanno di me: l'unico vantaggio, appena mangiato me la svigno e me ne vado in fretta, ma quanti noviziati devo ancora fare, ai miei verdi anni! Oggi è una giornata resa gaia da un raggio di sole: Jacini mi annuncia la traduzione dal tedesco di un'opera storico-bibliografica, il lavoro lo farei io, naturalmente anonimo. Potrei guadagnare 8 lire a pagina. Capisci, mogliettina mia, se la cosa va, dopo un po' di esercizio, posso arrivare a tradurre anche dieci pagine al giorno; ma se fossero anche cinque o sei per intanto sarei a posto. E poi tutto è incominciare, ringrazio il buon Dio che non mi abbandona. Intanto leggo Byron con una collega di pensione che è maestra di inglese e imparo a dattilografare nello studio di Spataro. Il guaio è la sera perché in camera fa freddo e non posso trattenermi a studiare, allora esco per il mio sobborgo e talvolta per ripararmi finisco al cinema, e lì ci rimetto i denari che risparmio non bevendo vino! Bell'economia, vero?». Aveva 47 anni, una vita di grandi prospettive dietro di sé ormai bruciata, un presente duro ed un futuro tutto da afferrare con le proprie qualità usando resistenza fisica, fiducia e grande speranza.