«Per il bene della pace non si deve permettere che le credenze religiose vengano abusate per la causa della violenza o della guerra». Risuonano ancora una volta inequivocabili le parole di papa Francesco. No alla violenza in nome di Dio. No al fondamentalismo che miete vittime innocenti. Come aveva detto a Tirana, lo scorso settembre. Come aveva ribadito in molti dei suoi viaggi precedenti, da Seul a Istanbul, e in diversi discorsi, da ultimo quello agli ambasciatori di tutto il mondo, giusto prima di partire. Francesco cambia continente, nazione e contesto – questa volta è lo Sri Lanka che lo accoglie calorosamente – ma continua a invocare pace, riconciliazione, dialogo tra gli uomini di fedi diverse. E ai capi religiosi manda un appello altrettanto forte: «Dobbiamo essere chiari e non equivoci nell’invitare le nostre comunità a vivere pienamente i precetti di pace e convivenza presenti in ciascuna religione e denunciare gli atti di violenza quando vengono commessi».Nella prima giornata del suo secondo viaggio in Estremo Oriente (il settimo fuori dall’Italia del pontificato) il Papa parla agli srilankesi perché tutto il mondo (scosso dal terrorismo) intenda. Anche qui, fino al 2009 una sanguinosa guerra ha opposto buddisti e indù, anche qui lutti e sopraffazioni in nome di un credo religioso e di una appartenenza etnica. Oggi, però, si è deciso di voltare pagina. Cambiare è possibile, pur se non tutti i problemi sono risolti. Ma il nuovo presidente Maithripala Sirisena, appena eletto e in pratica al suo esordio sulla scena internazionale, nel saluto all’illustre ospite, assicura: «Il mio governo si impegnerà a promuovere dialogo e riconciliazione, perché siamo un popolo che crede nella tolleranza religiosa e nella pacifica coesistenza». Così l’esordio della visita diventa un inno alla pace. Francesco atterra all’aeroporto di Colombo in perfetto orario. Alle nove del mattino (le 4.30 in Italia) ad attenderlo ci sono le massime autorità, i vescovi locali, con il cardinale arcivescovo della capitale, Albert Malcom Ranjith, ma soprattutto c’è tanta gente, molti di più di quelli che sarebbe lecito attendersi in un Paese in cui i cattolici sono solo il 7 per cento. Un coro di 200 bambini bambini gli canta il "Benvenuto santo Padre" in inglese, srilankese e italiano. Un gruppo folkloristico danza in suo onore, 40 elefanti bardati con drappi sgargianti sono sistemati ai lati della strada e non manca neanche l’omaggio dei militari con 21 salve di cannone. Atmosfera delle grandi occasioni, dunque (l’ultima visita di un Papa, Giovanni Paolo II, risale a vent’anni fa), che sembra avere effetti corroboranti sul fisico del Pontefice, nonostante il lungo volo. Nelle nove ore a bordo, Francesco ha anche salutato a uno a uno i 76 giornalisti al seguito, augurando «buon viaggio e tanto lavoro».E il lavoro, in effetti, comincia subito, perché il Pontefice entra in argomento fin dal discorso pronunciato ai piedi della scaletta dell’Airbus Alitalia. Dopo aver ricordato la natura innanzitutto «pastorale» della sua visita, lancia il suo primo appello. Consolidare la pace, curare le ferite della guerra, non avere paura delle diversità, promuovere i diritti umani. «È una costante tragedia nel nostro mondo – afferma – che molte comunità siano in guerra tra loro». Anche lo Sri Lanka, ricorda, «per molti anni ha conosciuto gli orrori dello scontro civile, ed ora sta cercando di consolidare la pace e di curare le ferite». Ma per portare a termine il compito occorre «superare il male con il bene», perseguire la verità «non per riaprire vecchie ferite, ma per promuovere la loro guarigione, la giustizia e l’unità».Tutti, dunque, devono lavorare insieme per la riconciliazione e la ricostruzione del Paese. «Tutti devono essere liberi di esprimere le proprie preoccupazioni, i propri bisogni, le proprie aspirazioni e paure». Ma soprattutto «devono essere pronti – sostiene Francesco – ad accettarsi l’un l’altro, a rispettare le legittime diversità» che non sono minacce , ma un arricchimento. Occorre «promuovere – conclude il Papa – la dignità umana, il rispetto dei diritti dell’uomo e la piena inclusione di ogni membro della società».
Concetti sui quali ritorna nell’incontro con i capi religiosi che, al termine della giornata, si svolge tra saluti, preghiere e anche un dono per il Papa: un indu gli dona uno scialle arancione - il golden showal in segno di onore e rispetto - che il Papa indossa sulla veste bianca. Nel discorso (che Avvenire pubblica integralmente) il Pontefice chiede «dialogo schietto». Sottolinea che «ciò di cui ora c’è bisogno è l’unità, non ulteriori conflitti». E conclude con l’appello a non usare il nome di Dio per giustificare la guerra. Nella sala del Banadaranaike Memorial Hall un migliaio di buddisti, indu e musulmani, con i loro variopinti costumi, applaudono a lungo le parole del Papa.