lunedì 5 dicembre 2022
Il VI Municipio, l'unico in città a guida Fdi, ha adottato il modello di dialogo e ascolto proposto dall'Associazione 21 luglio. Mentre la Giunta Gualtieri rifinanzia il Piano Raggi
Il campo rom di via di Salone a Roma

Il campo rom di via di Salone a Roma - Associazione 21 luglio

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Sul superamento dei campi rom, Tor Bella Monaca è più avanti del Campidoglio. Il presidente del VI Municipio, Nicola Franco di Fratelli d’Italia, ha adottato le linee guida in sei fasi del programma di sviluppo europeo Romact. La giunta Gualtieri, a un anno dal suo insediamento, di fatto ha solo rifinanziato il piano Raggi, che ha prodotto scarsi risultati chiudendo in cinque anni solo 4 campi su 14 di cui due sgombrati con la forza, nonostante avesse promesso l’abbandono dell’approccio “etnico” e l’uso di un modello partecipativo.

A passare al setaccio le politiche di integrazione a Roma è l’Associazione 21 luglio, al convegno LabRom in cui è stata anche presentata la nuova Strategia nazionale voluta dalla Commissione Europea che, dopo la prima avviata nel 2012, dovrà orientare le politiche dei Paesi membri fino al 2030. L'uscita dalle baraccopoli monoetniche è quanto mai urgente: una ricerca del Reyn (Romani Early Years Network) sugli insediamenti della Capitale denuncia gravi condizioni di vita dei bambini rom. L’incontro è stato per l’Associazione 21 luglio anche l’occasione per esprimere apprezzamento per il metodo adottato nel Municipio delle Torri, l’unico a guida centrodestra a Roma, tese al superamento del campo rom di via di Salone: creato dal Comune nel 2006, conta oltre 600 presenze in 86 moduli prefabbricati, dista 4 chilometri dalla farmacia più vicina, 10 da un ospedale, quasi 3 dalle Poste, più di 3 dal negozio di alimentari.

Il VI Municipio ha infatti scelto di adottare il modello presentato dall’Associazione 21 luglio alla Camera il 13 settembre 2021. Un approccio per l'inclusione che si ispira alle metedologie consolidate del Romact, il programma di sviluppo europeo, e del Community Organizing. E ha già concluso le prime due fasi delle sei previste. La prima - tra maggio e agosto - ha visto il confronto di 33 soggetti, pubblici e privati, e l’ascolto dei rom del campo. La seconda, che deve chiudersi a febbraio 2023, prevede la creazione di un gruppo di azione locale: ci sono rappresentanti di istituzioni, Terzo settore, Asl, Ospedale Bambino Gesù, scuole, Diocesi di Roma attraverso la Caritas, l'Università di Tor Vergata e tre donne leader del campo. Seguirà il piano d’azione e poi il finanziamento e la realizzazione concreta del superamento, di pertinenza del Comune.

Ancora tutta in fase embrionale invece la strategia scelta dalla Campidoglio. Il tavolo di co-programmazione “In dialogo con la città” promosso dalla Giunta capitolina si è chiuso con un rapporto che deve essere adottato dalla Giunta stessa attraverso una Determina dirigenziale, e sarà la base del Piano per il superamento dei campi rom dell’amministrazione Gualtieri. Un iter che, secondo Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio, ha prodotto un confronto e un dibattito «carente, ha concluso solo una delle sei attività previste, ha prodotto una mera elencazione di generiche proposte». Gli unici atti amministrativi concreti non hanno segnato una discontinuità con la precedente amministrazione pentastellata.

Di fatto dal Comune viene rifinanziato con un milione e 140 mila euro il Piano Raggi che aveva chiuso quattro campi comunali: Camping River e Foro Italico con sgomberi forzati e senza alloggi alternativi, Monachina a La Barbuta invece con assegnazione di alloggi, per un costo di 3,29 milioni. Ora la Giunta Gualtieri ha stanziato fondi per superare Castel Romano, Candoni, Lombroso e Salviati 1 e 2. Il rischio, teme Stasolla, è ripetere politiche sbagliate con «il mantenimento in vita del Piano Raggi fondato su un approccio calato dal’alto e non negoziabile, un impianto etnico di stampo rieducativo, la scrematura meritocratica delle famiglie, lo sperpero di denaro pubblico». Percorsi, quello del VI Municipio e del Comune, «che possono diventare binari morti, o strade che si uniscono».

E destano preoccupazione i dati raccolti dalla ricerca del Reyn (Romani Early Years Network) sui bambini che vivono negli insediamenti della Capitale in condizioni di vita insostenibili, presentati nel corso del LabRom. Dalle interviste, realizzate con 20 famiglie rom e 5 operatori, emerge infatti che l'80% dei bambini subisce discriminazioni nell'accesso ai servizi pubblici. Il livello di scolarizzazione delle famiglie è assente o incompleto nel 31,6% dei casi, limitato alla primaria nel 13,3%. Per quanto riguarda il lavoro, solo il 33,3% dei genitori è occupato. Il 30% delle famiglie non ha accesso all'acqua corrente. Il 65% dei bambini non ha una camera da letto o addirittura un letto proprio: la conseguenza è l'impossibilità di avere orari regolari di sonno, che comportano frequenti assenze a scuola per i tanti bambini che vanno a letto tardi, all'ora dei genitori, e la mattina non si svegliano in tempo per prendere lo scuola-bus. Il 30% dei piccoli rom inoltre non ha un pediatra di riferimento, con conseguenze sulle vaccinazioni, il corretto sviluppo, la diagnosi precoce di patologie o disabilità. Il 60% dei bambini rom infine non ha accesso agli asili nido, che richiedono la residenza. Il 50% delle madri non ha alcun aiuto nella cura dei figli. Una serie di condizioni che si traducono in una pesante ipoteca sulle possibilità di integrazione in età adulta.



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